Il Dio del credente biblico – 29 ottobre 1998

29.10.98

Il Dio del credente biblico

non è solo Dio = Elohim, un nome comune, bensì JHWH Adonaj = il Signore, il mio Signore Gn 13,4; 4,26. Prima di cercarlo e di trovarlo negli uomini-in se stesso, nel fratello nel povero-o nel creato, il credente si è lasciato incontrare da lui in persona, distinto da se’ e ben più importante e interessante di se’. Il Signore della fede non è scoperto dall’uomo come il termine di una sua ricerca, come qc davanti a noi, che si sia finalmente raggiunto dopo averlo lungamente inseguito At 17,26-28. Da lui, piuttosto, l’uomo si sente conosciuto e creato da sempre, ma adesso scoperto e afferrato di sorpresa, come alle spalle, e abbracciato con forza e con infinita tenerezza amicale Fil 3.8-14. Il nome con cui il Signore ci chiama nella fede, non è semplicemente “uomo”, ma il nostro nome proprio: Abram 15,2. Anzi l’incontro con il Signore ci individualizza singolarmente, ci personalizza in modo così irripetibile e inconfondibile, che dà un senso completamente nuovo al nostro stesso nome e lo lascia segnato per sempre: Avraham, Avraham 22,I.II cfr 17,5. La parola di Dio entra nell’esistenza dell’uomo con una “rivelazione“ una “primizia” assoluta: irrompe nell’esistenza di colui che è chiamato a, attraverso di lui, nella storia di tutta l’umanità e del mondo: trascende ogni preparazione e ogni attesa precedente.
La fede sorprende, sconvolge, rivoluziona anche la “religiosità” dell’uomo, precedendola ormai e condizionandola radicalmente Gn 24,2-3 ; Gdt 5,7-9. Lungi dal farsi riassorbire e reintegrare nella “religione”, la fede la ridimensiona, la relativizza e la subordina integralmente alla parola del Signore: “io anzi vi dico… Mt 5,22 ecc.
Essa tira fuori l’uomo dalla situazione precedente, soprattutto da quella che viene comunemente sperimentata e rientra come una condizione “naturale”, “logica”, “proporzionata”. E lo proietta sui sentieri di un pellegrinaggio che va al di là della scena di questo mondo 1 Cor7,31: Gn 12.1 .
Apparentemente si potrebbe dire che, se la fede viene a redimere, a restaurare, a salvare la creazione, essa dovrebbe procedere nel modo più naturale e consono ad essa, dal momento che il Dio della salvezza è lo stesso Dio della creazione. Non è così! Tra la creazione e la salvezza, infatti, c’è il regno del peccato. Le medicine non possono sempre rispettare tutti i ritmi naturali dei nostri organismi. La violenza con cui esse possono annunciarsi nel malato non dipendono dall’ “innaturalità“ della cura, bensì dalla “ innaturalità “ del male. La fede che salva non è semplicemente una provvidenza “omeopatica”. Essa scaturisce dalla fede di Gesù e dal suo mistero pasquale di croce/resurr. L’ordine di immolare il figlio Isacco, su di un monte nel territorio di Moria 22,1-2 può “apparire” disumano e violento. Ma infinitamente più disumana e violenta è la pseudo-sapienza che ha libero corso nel mondo del peccato. E si può accettare, nella fede, che il Signore sappia servirsi della stoltezza della croce del Figlio-che è stata ben lontana dall’essere “apparente” – per operare la riconciliazione del mondo in lui 2 Cor 5,18-21; si tratta di ricondurre l’uomo depravato e alienato a trattare Dio da Dio e se stesso da uomo. 1Cor 1,21-25
L’elezione,
a cui fa seguito il dono della fede, è totalmente gratuita e chiama l’uomo a partecipare alla santità (=messa a parte, individuazione della trascendenza) propria di Dio: “ Siate santi” Lv 11,44-45. Per essere stato scelto da Dio, Israele è già un popolo santo Dt. 7,6-8. La prima risposta dell’uomo a una tale elezione è “eccomi” (hinneni 22,1.11.) che è una specie di Amen, Sì= sono disponibile per te, va bene così , accolgo questa tua proposta, mi fido e mi abbandono totalmente ad essa e, in tale abbandono in Te, io mi sento interamente sicuro) 2 Cor 1,19-20. Questa accoglienza è la fede che giustifica l’uomo 15,6 Rom 4,3.9.22. Difatti il titolo + proprio che il Signore riconosce ad Abramo è : “ Il mio amico” ohavi Is 41,8. La fede di Abramo non consiste in primo luogo, in un suo atto, o …., con cui egli creda a certe verità rivelate da Dio, ma nel suo consentire a stabilirsi abitualmente in una relazione interpersonale, in un’amicizia con il suo Signore (Tu-io) che nulla può infrangere, perchè “nessuno può disgiungere ciò che Dio ha unito Mt 19,6b. La Bibbia utilizza diverse metafore per indicare tale rapporto : ospitalità , alleanza, patto, appartenenza (= segullah Es 19,5 ecc..) eredità Dt 4,20, passione amorosa, amore sponsale, filiazione…ecc . Anche se queste similitudini, tutte per se’ inadeguate vanno prese sempre insieme, senza privilegiarne una sola a esclusione delle altre, il NT indica che la filiazione e spiritualità sono quelle meno lontane della realtà indicibile del mistero di Dio-Amore 1 Gv 4,8.16. Gesù, infatti, è per natura il ”Figlio” unico del Padre Gv 1,14.19; 3,16-18; Rom 1,3. Tutti gli altri uomini e donne sono nati una prima volta per poi “diventare figli di Dio Gv 1,12;3,3-8, accogliendo lui e credendo nel mio nome Gesù Messia è l’Amen, il Si del Padre agli uomini 2 Cor 1,19-20,e, insieme, l’amen (il si) dell’ umanità a Dio. Gli uomini che, in lui, si offrono come un Amen che sale a Dio 2 Cor 1,20b, diventano Gerusalemme, Tenda città di Dio con gli uomini. “ La fidanzata dell’Agnello” “ La Sposa” del Xto, tutta gloriosa, santa e immacolata Ef 5,25-27.  La fede che il Signore chiede ad Abramo, però è una fede particolarmente difficile. Si tratta infatti di una fede medicinale e salvifica del peccato. E’ questa fede che troverà il proprio compimento finale e perfetto nella fede filiale di Gesù ed è perciò anche la nostra. Come quella chiesta a Noè il cui pio timore doveva condannare il mondo Eb 11,7, e ancor più di essa, la fede di Abramo (e di Gesù) è una fede folle. Abramo è il cavaliere di questa fede (Kirgaard) che solo gradualmente verrà appresa da colui che dovrà diventare “ il Padre di tutti i credenti “ Rom 4.11.22. Folle è credere fino a partire da se stessi, senza sapere dove si va Eb 11,8. Folle è credere, soggiornando semplicemente attendati come in una regione straniera nella terra promessaci Eb 11.9. Folle è credere che si otterrà una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia…quando non si è riusciti a generare nemmeno un figlio da una sposa sterile Eb 11,11-12. Folle è credere ancora nei beni promessi quando si giunge a morire senza averli conseguiti Eb 11,13. Folle soprattutto è continuare a credere alla presenza della discendenza persino quando si è pronti a sacrificare, sull’ordine di Dio, il figlio della promessa, l’unico e l’amato Eb. 11,17-19. La nascita di Ismaele prudentemente pianificata da Sarai e da Abram per “dare una mano” al Signore, “invitandolo” a tener fede alla sua promessa , mostra quanto difficile sia per Abramo e per Sara credere totalmente alla parola di Dio. Lo stratagemma di procurare un figlio a Sarai, sia pure ricorrendo a legittimi costumi di quel tempo, facendolo cioè generare dalla sua schiava egiziana – la madre- padrona si prolunga in tutto il suo gruppo Gn 30,3-13; 35,22b-26- nasce nel tentativo intraprendente di mettere il Signore di fronte al fatto compiuto di un intervento umano che adempia la sua parola. Una specie di …….fai da te! Dal momento che sembra che Dio non si muova. Si cerca con le “migliori intenzioni”, di manipolare la sua volontà, come se quella parola e questa volontà non fossero esclusivamente di Dio Gn 16. Se Dio mi da’ una vocazione io non posso fabbricarmene un’altra ne’ aggiustare la prima sulla seconda che sopravvenga a piacermi in modo alternativo, per dire poi, magari una volta che abbia cambiato le carte in tavola :”ormai le cose per me sono cambiate. La volontà di Dio su di me ormai è questa nuova situazione che io ho creato!” Una cosa infatti è la fede pura e nuda : altri è la rappresentazione , l’immagine che di essa l’uomo si fa. Una cosa è la pura volontà di Dio: altra è la coscienza che di essa gradualmente l’uomo va prendendo, e l’interpretazione che di essa vada elaborando. Appena, infatti, è chiamato a partecipare all’opera di Dio per cooperarvi, l’uomo mostra subito una pretesa di dirigere le operazioni secondo la propria “ prudenza”, interpretando l’agire divino entro gli schemi del proprio agire : smania di interferire e intervenire a modo suo nell’opera di Dio, mettendoci le mani pesantemente; presume di correggere il tiro secondo i propri punti di vista, dicendo: “ Io,Io…” ( 15,2 ; 16,2; 17,17-18;18,12) e dimenticando il primato del Tu=fede; nemmeno Mosè sfuggirà a questa tentazione Num 20,7-13,20; 27,13-14; Dt 32,50-52. Ismaele e’ il frutto della carme e della prudenza carnale di Sarai ed Abram. Con lui “Dio ha ascoltato (=Ismael) la filiazione di Agar 16,11. Ma “quel che è nato dalla carne è carne” rimane carne e non può diventare spirito a forza di espedienti e di stratagemmi carnali Gv 3,6; 6,3 –su ciò il Signore non transige. Il figlio della promessa è Isacco, il figlio dell’impossibile, il figlio non della carne ma, nella carne, dell’impotenza della carne 17,15-22;18,11-14. In lui “Dio sorride” (Yitzchag) su tutto il ridere dell’uomo e della donna, che così spesso e per tanta parte caricarne le loro facoltà generative 17,17.19,18,12-15. La vicenda di Ismaele è il segno di quanto graduale sia stato per Abram, l’apprendistato per giungere ad una fede perfetta Gn 22 e di quanto dolorosamente egli abbia dovuto accettare le conseguenze della propria incredulità Gn 21,8-21. –