Libri profetici

Libri profetici

Società in crisi – Capi carismatici

Nella storia dei popoli, ci sono momenti in cui sembra chiaro l’obiettivo da raggiungere: una conquista da effettuare, la riorganizzazione della vita sociale…Tutti sono orientati verso uno stesso scopo.

Ma vi sono anche altri momenti in cui viene meno ogni progetto. Il presente appare come un’incolore ripetizione del passato o una fase di progressiva degenerazione. L’avvenire è chiuso, bloccato. Non si sa + verso che cosa orientarsi. Si acuiscono allora i conflitti. La società gira a vuoto. Tutti avvertono, ma in maniera confusa, che ci sarebbe bisogno di qc. Si aspira a un cambiamento radicale. Ma quale? E’ difficile immaginarlo.

Succede allora, a volte, che vengono alla ribalta delle persone fino a quel momento sconosciute. Denunciano con forza i mali che affliggono il paese e fanno intravvedere la possibilità di un rinnovamento profondo dell’esistenza. Con maggiore o minore precisione, tentano di descrivere la configurazione del mondo che sta per nascere. Sono quelli che vengono chiamati profeti.

I profeti di Israele sulla soglia di un mondo nuovo.

Portiamoci in Israele a partire dal X° sec. a.C. Dopo il 931, il Regno di David e di Salomone è diviso in due nazioni, che possono ancora conoscere giorni gloriosi, ma nelle quali si è ormai prodotta un’incrinatura mortale. Non si sa + veramente che cosa si voglia. E’ stata compiuta la conquista della terra lungamente attesa. Israele è una nazione come le altre. Che cosa rimane da fare se non assestarsi, perdurare, godere? Sembra definitivamente spento l’antico dinamismo dei tempi dell’Esodo. Anche la vita religiosa che l’avrebbe dovuto tener desto è ormai decaduta: non è altro che un formalismo rassicurante. Piano piano e a lungo andare un popolo perde lo spirito che gli dava la sua ragion d’essere.

Nel Regno del Nord sotto Geroboamo II° (783 – 763) si fanno improvvisamente sentire 2 voci: quella di Amos il pecoraio di Giuda che è venuto a gridare la sua indignazione di fronte alle ingiustizie sociali e la decadenza religiosa; quella di Osea, il marito sfortunato che nel dramma del suo matrimonio percepisce l’immagine del dramma di Israele. Denunciano il male, annunciano la rovina del Regno ormai incancrenito, fanno intravvedere che la di là della distruzione nascerà un altro mondo.

Ala fine dello stesso secolo, Michea alterna minacce e promesse. Annunzia la futura venuta di un re pacifico, che farà pascolare il gregge del Signore.

Contemporaneo di Michea è poi Isaia. Nel 740 riceve la sua missione profetica. Anch’egli annuncia la prossima caduta di Samaria e, dopo questa, (nel 721) interviene sempre + nella politica dei re di Giuda, dei quali denuncia le incoerenze. Attacca le illusioni dominanti, mette in questione la pretesa totalmente umana di dare un certo corso agli avvenimenti, dimenticando che solo Dio conduce la storia. Invita a scoprire lo spirito dello Jhavismo, apre inoltre nuove prospettive sul regno futuro e sul Messia di cui presagisce la venuta.

Tra il 640 – 630, Sofonia si oppone alle fallaci speranze suscitate dalla decadenza assira. Il “giorno di Jhawè” sarà certamente terribile per i nemici di Israele, ma lo sarà altrettanto per lo stesso popolo di Dio che vive immerso nel peccato. Rimane una promessa di salvezza per un “resto” umile e piccolo.

Cantando la caduta di Ninive, capitale dell’Assiria (caduta nel 612), Naum accoglie invece positivamente la speranza suscitata dalla distruzione del nemico tradizionale. Tuttavia. Attraverso il suo violento nazionalismo, trasmette un alto ideale di giustizia e di fede. Probabilmente in quello stesso periodo, Abacuc, si chiede con inquietudine, come mai Dio abbia dato aiuto a forze inique. Ma afferma la sua certezza che Dio prepara la vittoria finale del diritto e che “il giusto vivrà per la sua fede”.

Si sta ormai avvicinando la caduta di Giuda, una caduta inevitabile, anche se si finge di non credere al pericolo. Per Geremia, di famiglia sacerdotale, non è possibile rattoppare il vestito che può solo essere gettato via. L’unica cosa che resta da fare è preparare la rinascita dopo il crollo. Purtroppo nessuno vuole ascoltare un profeta che sembra conoscere solo parole di sventura. Il suo destino consisterà nell’essere perseguitato e schiacciato prima che un giorno non lo si riconosca come uomo di speranza. Baruch, il suo segretario, continuerà per un certo tempo la sua opera tra gli esuli di Babilonia.

Anche Ezechiele è un sacerdote, contemporaneo di Ger. Ma non interviene in Giuda, bensì in Babilonia dove è stato deportato prima della distruzione definitiva di Gerus. Inizia il suo ministero nel 593. In un primo tempo, anch’egli deve dissipare le illusioni che permangono nei (alcuni) prigionieri: Gerus. Cadrà, il castigo di dio non risparmierà una nazione adultera. Ma dopo la caduta della città, nel 587, la sua missione subisce una profonda trasformazione: si deve dare speranza al popolo fargli capire che c’è ancora un futuro. Il prof. abbozza allora un grandioso affresco, in cui mostra che un giorno il tempio sarà costruito, la città tornerà a essere grande e il paese fiorirà a nuova vita. E ciò avverrà perché allora Dio stesso cambierà il cuore degli uomini e metterà in essi il suo spirito.

Sempre durante il periodo dell’esilio, un prof. dal nome sconosciuto canterà la liberazione futura e il ritorno trionfale nel paese. La sua opera sarà aggiunta a quella di Is di cui peraltro prolunga il pensiero Is (40 – 45).

Con Aggeo, Zaccaria, Malachia, Aldia, Gioele e Giona, entriamo nell’ultimo periodo profetico, quello post-esilico. Prima dell’esilio, la parola d’ordine era stata “castigo”, durante l’esilio era diventata “speranza” ora si è nuovamente mutata in “restaurazione”. Ma il messaggio fondamentale rimane lo stesso: il futuro del popolo si fonda sulla riscoperta dell’alleanza che, un giorno, l’ha costituito. Così la restaurazione non è la conclusione ultima della storia, bensì annuncia nuove tappe, castighi che, questa volta, riguarderanno tutti i popoli, ma anche una conversione universale a Dio.

Si aspetta ora + che mai il rinnovamento definitivo a opera dell’inviato di Dio, il Messia. All’epoca di A.Epifane, nel II° sec. a.C., il libro di Daniele ne annuncerà, in termini apocalittici, la venuta imminente. Presto il F. dell’uomo apparirà sulle nubi del cielo.

Ormai le voci profetiche taceranno. Hanno manifestato il loro messaggio nel nome di Dio. Rimane solo da attendere che la “parola” porti frutto. Si vivrà protesi verso il futuro sperato.

Per i cristiani, questo frutto sarà Gesù, nuovo profeta, Parola vivente di Dio. Egli rimetterà radicalmente in discussione con le sue parole e soprattutto con la sua vita le visioni che l’uomo poteva avere del suo destino e fonderà realmente, seppure in maniera misteriosa, il nuovo Regno atteso, il regno stesso di Dio.

Scritti profetici, espressione particolare – fenomeno + vasto.

Nella prospettiva di Israele, i prof. di cui abbiamo appena parlato sono solo dei continuatori di una lunga tradizione che risale molto più indietro nel tempo. Sono gli “ultimi profeti”. La differenza essenziale fra loro e i predecessori, i “primi profeti”, consiste nel fatto che questi non hanno lasciato opere scritte.

Già Abramo era profeta: era chiamato da Dio a portare un messaggio a tutte le nazioni, a metterle in cammino verso un futuro. Mosè era profeta, su incarico di JHWH, doveva trasmettere il suo “nome” e dar vita a un popolo; strappato dal proprio ambiente e gettato all’avventura, resterà sempre per il giudaismo il tipo perfetto del profeta. Anche Debora, Gedeone, Samuele, lo stesso Saul, Davide e Natan, Elia, Eliseo e molti altri, di cui parlano i libri di Samuele e dei Re erano profeti, tutti, in qualche modo, erano messaggeri di un Dio costantemente in dialogo con il suo popolo + la mediazione di uomini scelti. Non è forse scritto nel libro dei Numeri che Mosè desiderava vedere il giorno in cui tutto il popolo sarebbe diventato un popolo di profeti, ai quali il Signore avrebbe dato il suo Spirito? 11, 29.

Nell’antichità, il profetismo non era considerato come un fenomeno esclusivo di Israele. L’Egitto aveva i suoi cantori di corte, incaricati di predire il futuro dei suoi faraoni. La Mesopotamia aveva i suoi maghi che dovevano prevedere gli avvenimenti. La Siria – Fenicia aveva individui estatici le cui trances erano sentite come segni precorritori di eventi rilevanti. Le manifestazioni esteriori dei gruppi profetici a cui si unirono Saul, invertito dallo Spirito, Samuele, verso la fine della sua vita, Eliseo e molti altri, non dovevano essere molto diversi da quelle dei circoli profetici stranieri.

Tuttavia dietro fenomeni apparentemente similari, la differenza era fondamentale. Il prof. biblico parla sempre nel nome di un Dio che ha manifestato la sua azione con segni precisi, attraverso una storia. Visioni, estasi, rivelazioni improvvise hanno senso solo nella misura in cui rimandano a un’alleanza continua dentro lo svolgersi degli avvenimenti. L’ispirazione per opera dello Spirito è, in definitiva, una particolare lucidità data da Dio ad alcuni uomini e che fa che essi interpretino la vera portata di ciò che avviene e di ciò che avverrà.