Storia patriarcale

Storia patriarcale e Risposta di Dio all’economia del peccato

Gen 11,10-50,26

Alla trilogia del peccato umano , visto in tutta la sua estensione e universalità + simbologia dei tre peccati tipo :

contro Dio (3) ; contro l’altro 4,1-24; contro la terra 11,1-9 – ciascuno dei quali inizia dalla violazione della giustizia di una delle tre relazioni di creazione, per confluire poi tutti e 3 nella catastrofe diluviale 5-6 – il libro Gn fa seguire una trilogia redenzione e liberazione divina con la storia dei patriarchi di Israele 9,10 – 50,26. Sara’ questa risposta definitiva di Dio all’inquinamento della creazione e perciò la sua salvezza.

La creazione, che esiste oggi e in cui ci muoviamo, non è più semplicemente la creazione bella e …..di Dio, intatta come era alla mattina del mondo. Ogni mattina, certo, noi ci svegliamo alla luce e poggiamo i piedi su di una terra mantenuta ferma e asciutta dalla fedeltà incrollabile del Creatore, ma, nello stesso tempo, siamo variamente raggiunti dalle acque del diluvio, lordati dal fango delle sue conseguenze. Senza essere condannati a ricominciare ogni giorno fino alla fine a ricadere sotto la monotonia del ciclo creazione-vita/peccato-morte, ogni giorno il Signore della storia ci dischiude davanti i sentieri finalmente progressivi anche se contorti della salvezza mediante la fede, la speranza-carità. Su tali sentieri impariamo di nuovo a re-interpretare la creazione secondo Dio nella giustizia e santità vera Ef 4,24 e a fare di nuovo la verità nella carità 4,15.

Sono questi i sentieri tracciati e percorsi per noi da Israele – il popolo tipo della fede – lungo tutta la sua storia carmica, dal padre Abramo al Messia Gesù Mt 1,1-17 Gv 1,1-4; 11,1-12,2.

Una storia carmica, anche per noi, perchè ci viene raccontata dalle Scritture canoniche di Israele e delle Chiese cristiane, e con esse ci è data da Dio come una norma (=canone) di discernimento spirituale, morale, intellettuale, verbale…per camminare tra la vita e la morte, tra ciò che promuove la salvezza della vita e ciò che la inquina fino a ucciderla, tra ciò che è veramente buono, e ciò che falsamente si presenta tra la Parola e la chiacchiera…E’ questa la storia che comincia con Abramo.

A questo punto della narrazione biblica, finora presentata come narrazione sapienziale – favola delle origini-di genere mitico, prende forma di un racconto storico-particolare esemplare e celebrativo di un uomo e sua famiglia patriarcale originaria del popolo ebraico, popolo di Dio, depositario di promessa e di alleanza Rm 9.4 ed destinato a diventare benedizione per tutte le famiglie della Terra 12,1-3. Una storicità che della redenzione escogitata(queste parole sono state scritte anche cancellate) prelude alla storicità di Gesù, e che è documentata specialmente dalla sua genealogia del Vangelo su Mt 1,1-17. Appare qui, fin dagli inizi, un criterio tipico della redenzione escogitata dalla misteriosa sapienza di Dio, cioè la radicale sproporzione tra fine e mezzi nella politica di Dio. La risposta che Dio offre a una situazione collettiva e che investe tutta l’umanità, non utilizza ma-media globali e comprensivi, ma è affidata a un uomo solo straniero e pellegrino. Attraverso di lui la divina benedizione salvifica raggiungerà tutti gli uomini e tutta la Terra, ai tempi e ai modi di Dio secondo il suo stile. Per entrare in qualche modo in questa sapienza, dovremmo tener presente che la solidarietà fra gli esseri umani – sia nella creazione –

peccato – redenzione – è certo molto più reale e profonda di quanto una cultura individualista o illuministica ci permetta di immaginare. Nessuno di noi può pretendere di essere l’uomo, ma solamente tutti insieme, di tutti i tempi, lo siamo. Mistero della dimensione corporativa e inclusiva delle elezioni di Dio: di Abramo, Israele, ….Gesù. Questo antico racconto di famiglia e clan comincia propriamente in Gn 1,10, con la menzione dei progenitori di Abramo figlio di Terach, fratello Nacor e Aran, della discendenza di Sem, figlio di Noè.

La storia biblica di Abramo + discendenza ha inizio qui e termina ultima pag. Ap. ed è qui che viene chiamata storia della salvezza, perchè costituisce la risposta di Dio alla situazione prodotta dalla ripetizione monotona e quasi fatale dei peccati umani, e dal conseguente loro cumulo ed esito diluviale; un inquinamento consistente nella progressiva e totale confusione dell’ordine morale, che finalmente ….. anche nell’ordine fisico del creato.

La storia genesiaca dei patriarchi, letta nel contesto della storia Biblica ebraica e xtiana appare come qc di …del primo cap. di essa. Fa proprio l’impressione di una prima carta topografica dell’insieme, dove solo pochi nomi appaiono già segnati, mentre le altre designazioni sono ancora mancanti. L’impianto generale della grande catechesi biblica – su tutta la corsa della fede – Ef 12,1- è , però, già tutto lì delineato a grandi tratti. La risposta del Signore, che permette di discernere nel mondo presente, inquinato e ambiguo, la bontà della prima creazione dalla malizia inquinante del peccato, per promuovere la prima e far regredire la seconda con una strategia di una liberazione escogitata dalla sap. divina e già completamente abbozzata nella storia di 4 generazioni nella famiglia di Abramo. Essa concerne l’uomo nella sua struttura di creazione, verso l’alto(Dio), al suo fianco (l’altro-a), in basso la terra.

  1. La storia di un gruppo di nomadi, peregrinanti verso la patria Eb 11,13.

La patria terrena, da cui Terach uscì’ con i suoi, era Ur dei Caldei.

Di lì si diressero verso il paese di Canaan, e si fissarono in Carran, oggi Turchia presso il confine Siriano 11,27-32. Il binomio straniero pellegrino, che Eb 11,13 riconosce come derivante dalla fede è diventato una definizione dei Patriarchi e della loro discendenza fisica e spirituale, di Israele e della Chiesa Nt, pellegrina sulla terra (Liturgia)

Esso ha voluto, all’inizio, un senso socio-economico e geografico: “Io sono forestiero e di passaggio ( gher-we-to-shar-in mezzo a voi” dice Abramo agli Hittiti di Kiriat-Arba=Ebron, quando chiede di comperare un terreno per seppellire Sara 23,3-4.Difatti la storia dei patriarchi – Abramo, Isacco, Giacobbe – presenta la vita e le vicende di una piccola fam. di nomadi: 47,8-9

Anche alla liturgia dell’offerta delle primizie comincia così Dt 26,5.

La terra che il Signore dona ai suoi eletti è una terra di pellegrinaggio ”, “ una terra dove si è forestieri ” 17,8; 28,4;37,1 Es 6,4 .

I verbi ebraici gar e yashav e i loro derivati….sono sempre interpretati da Lxx+Nt con (parvikeo)=peregrinare=soggiornare come forestiero in un paese non proprio paroikia=condizione di ospitalità, di passaggio = accampamento dei nomadi xtinni; xenos=straniero o parvikos=colui che propriamente non si trova insediato in casa sua.

Dal punto di vista sociologico la nazione designa uno statuto politico-economico 15,13; 47,4….

Si tratta però di una nazione che avrebbe dovuto sparire con la conquista e insediamento di Israele in Canaan. La ritroviamo invece in terra di David nella preghiera di offertorio dei beni raccolti e destinati alla costruzione del Tempio. 1 Cr 29,14-16.

Qui la connotazione soc+geografica è scomparsa ma il binomio è conservato con un senso filosofico esistenziale=fragilità e inconsistenza della condizione umana di fronte all’infinita consistenza del Signore Dio Is 40,6-8 Es 6,4…Una simile consapevolezza di carattere effimero dell’esistenza umana, però suggerisce anche delle conclusioni anche di carattere economico. Dice il signore a Israele al quale dona in possesso il paese in cui l’ha fatto entrare per grazia Lv25,23-24.

E’ questa la lezione che Mosè impartisce persino al Faraone : l’ammonizione vale anche per lui

Es 9,29 Dt 10,14.

Una letterale perseverante fedeltà alla condizione pellegrinante, anche sotto l’aspetto socio-economico si trova anche presso i ….alla fine del regno di Joakim 600 e ca. Ger 35,6-7 .

Il Signore si serve dell’es. della loro obbedienza per impartire x Ger, una lezione alla popolazione del Regno di Gerusalemme Ger 35,12-19

La coscienza della condizione nomadica e peregrinante delle origini di Israele sarà tenuta desta dal fenomeno esilico e post esilico della diaspora fino ai nostri giorni.

Una consapevolezza umana fragilità traspare nell’orante dei Salmi 39,13-14;119,19.54 22.10.1998

Il tema dell’esistenza umana come pellegrinaggio-ma in virtù della fede-è presente in Paolo, per il quale “abitare nel corpo” come credenti-camminiamo infatti nella fede e non nella visione-è per noi un “peregrinare distanti dal corpo” è un “andare ad abitare vicino al Signore”, la qual cosa è certo preferibile. Si …bene, però, che “desiderare di peregrinare lontano dal corpo” non ha nulla in comune col ….. ellenistico che “desidera esserne spogliati”. Al contrario, la fede ci spinge ad “anelare di esserne supervestiti nella risurrezione, perchè speriamo che il nostro corpo mortale venga assorbito e superato dal nostro corpo ”celeste”, come è avvenuto a Gesu’2

Cor 5,1-10.

I termini patriarcali del pellegrinaggio e quelli della diaspora sono ripresi e trasferiti nella catechesi apostolica NT a designare la condizione delle Chiese e xtiani sparsi nel mondo, presenti alla città terrestre, senza altra patria terrena dove fare ritorno (e quindi non come visitatori, turisti o cittadini di paesi stranieri terreni) ma come forestieri ed emigranti in transito nell’intera faccia della terra. Così Gr scrive alle 12 tribù della diaspora !!: Pt scrive a coloro che l’elezione divina rende forestieri della diaspora nel Ponto, nella Galazia, Cappadocia… 1 Pt 1,1 e li istruisce sul modo di condurre la propria esistenza nomade 1 Pt 1,17 Gr 1Pt 1,13-2-10. Il binomio patriarcale viene assunto a significare la condotta morale bella dei xtiani stranieri e pellegrini in mezzo alle nazioni pagane e alla loro condotta carnale 1 Pt 2,13-14….

L’ultima lettura della condizione peregrinante del popolo di Dio viene offerta da Ebr dove tutta la storia biblica, anzi tutta la storia umana, viene reinterpretata come storia dell’umanità credente e, che, per la fede corre in mezzo a un mondo iniquo e ostile. Tale umanità fa capo già ad Abele, a Enoch e a Mosè Eb 11,4-5. Sono però specialmente i patriarchi di Israele- Ab-Is Gi- stranieri pellegrini, coloro che vengono ampiamente celebrati quale radice santa dell’Israele credente Eb 11,8-21. Vengono poi Giuseppe, Mosè, Giosuè Roat, Gedeone ,Barak, Sansone, Jefte, Davide, Samuele, i prof. e un gran numero (nugolo) di testimoni ,giudici, re, martiri, i quali x la fede “trovarono forza dalla loro debolezza “; un intero popolo di uomini e donne che attraversando e superando ostilità, lotte e prove terribili, vagarono “ per deserti, sui monti , tra le caverne e le spelonche della terra”. Di essi il mondo non era degno 11,22-40; …2,49-70. Gesù è il capofila + compimento della fede (ho ………………) di questa innumerevole umanità, che è in cammino- e anzi corre-nella fede, e che, attraverso la passione e la croce viene assunta alla destra del trono di Dio Eb 12,1-2 Ap 3,21

Si scoprì qui l’ultimo fondamento, il segreto del pellegrinaggio del popolo di Dio: non la condizione sociologica nomadica, ne’ l’umana fragilià’ esistenziale, ma la fede, quella biblica, che l’unica via x la quale gli uomini possono diventare graditi a Dio e ottenere la salvezza Eb 11,6.

Tra la via della vita attraverso la giustizia della creazione Gn 1-2 e la via della morte, aperta dal peccato Gn 31,11-9; Dt 30,15-20, Dio propone la via della redenzione della salvezza della prima creazione mediante la fede quale unica direttrice, su cui, fin dalle origini, cammina attraverso la storia un popolo di uomini/donne, che credono che i secoli del mondo sono fondati sulla parola di Dio Eb 11,7. A questo popolo di testimoni ciascuno è inviato ad aggiungersi At 2,41-47;5,14 tenendo fisso lo sguardo su Gesù, senza mai perdersi d’animo Eb 12,3. “ I capi dei popoli si sono raccolti con il popolo del Dio di Abramo Sal 47,10 e b.

L’ultima tappa del pellegrinaggio è segnalata dalla lettera agli Eb. che parla a quei gentili i quali appunto, obbedendo con la fede all’evangelo della verità(=il Figlio) e dello Spirito, si sono lasciati aggiungere dal Padre a coloro che per primi avevano creduto in xto 1,11-14,18-19. Per la fede essi che erano pagani per nascita e incirconcisi, senza Messia, esclusi dalla cittadinanza di Israele, estranei ai fatti della promessa senza speranza e atei nel mondo, da lontani che erano sono diventati ora vicini, grazie al sangue di xto. In lui ogni mezzo di separazione è stato abbattuto e lo Shalom messianico è stato in principio realizzato riconciliando per mezzo della croce, sia i lontani = gentili sia i vicini =gli israeliti 2,11-17.Il testo conclude con forti formule trinitarie: per mezzo del Messia possiamo presentarci gli uni agli altri = israeliti /gentili, al Padre di un solo Spirito. Eb. 2,18-22. Giunti a questa meta-alla Chiesa di Dio nella sua dimensione ultima e sostanziale res sacramenti- il peregrinare dei nomadi della fede ha termine.

  1. Tre tappe del Pellegrinaggio patriarcale.

Rappresentando la risposta salvifica di Dio all’inquinamento diluviale delle 3 dimensioni della creazione, causata dalla triplice malizia del peccato-contro Dio, contro l’uomo/donna, contro la terra-, anche il cammino fam patriarcale originaria è scandito da tre tappe o momenti strutturali:

  1. La partenza e il cammino peregrinante del Padre, Abramo, celebra la fede come principio del ristabilimento della verità della creazione nel rapporto dell’umanità con Dio 12,1-25,11. La storia di Abramo è la risposta di Dio al primo peccato di Adam (……).
  2. La riconciliazione fraterna fra i due figli, con la loro differente vocazione e il loro diverso destino: Isacco (=il Signore sorride, il figlio promessa, l’eletto), e Ismaele (=il Signore ascolta il figlio della carne: l’altro , a cui partecipare e con cui condividere la benedizione) 16,1-25,18; e soprattutto Giacobbe (=colui che tallona e sorpassa/ ed Esau’ (=mantello di pelo rossiccio) 25,19-50,14.

Viene stabilita la verità della creazione nel rapporto dell’uomo con il fratello. L’altro però secondo la creazione di Dio, è prima di tutto la donna per l’uomo e l’uomo per la donna: comunione paritaria nell’accoglienza della rispettiva differenza. E’ la risposta di Dio al secondo peccato, quello di Caino. La fede deve diventare …. aprendosi il cammino tra ostacoli molteplici Rom 5,1-5; 2 Pt,1,5-7.

  1. L’interpretazione giusta della Terra, del mondo e della storia a opera del fratello sapiente, Giuseppe, salva l’intera famiglia umana 37,2-50,26. L’uomo umile e mite ……., che teme il Signore e spera solo in lui, erediterà la terra, perchè sa, dall’alto, come vivere in essa e come condividerla con tutti gli altri Mt 5,5. La fede, reintrodotta, nel suo rapporto con la terra, riconduce l’uomo alla verità di creazione del suo essere nel mondo, e, perciò alla sapienza. E’ la risposta al terzo peccato, quello dei costruttori della torre di Babele. La sapienza della gestione dei beni del mondo è possibile in chi mette tutta la sua speranza nell’unico bene: Dio. Alla fine del libro della Gn ci è dato di contemplare uno spettacolo di pace universale. Colui che si affida al Signore, e si lascia docilmente condurre dal suo timore – fede, ritrova la originale bontà della creazione e ne restaura l’ordine primitivo. Per la mediazione di Giuseppe, il figlio di Giacobbe-Israele, l’unico uomo giusto, eletto fra i suoi fratelli-il quale venduto per gelosia è stato assunto dagli inferi della cisterna del deserto 37,24+prigione egiziana 39,20 fino alla destra del re, capo dei popoli 41,40-44 Sal 105,20;- l’umanità è salvata dalla fame e trova benedizione e pace. Immediatamente intorno a lui ci sono i suoi fratelli, i patriarchi di Israele. E intorno alle 12 fam. di Israele, popolo di Dio, ci sono le nazioni del mondo l’Egitto e tutti i paesi vicini 41,53-57: una visione di comunismo universale. Un cristiano non può l’Egitto e tutti i paesi vicini 41,53-57 : una visone di comunismo universale. Un cristiano non può non leggere questo libro come profezia dell’escatologia NT 1 Cor 15,20-28 un primo abbozzo del disegno salvifico dell’umanità intera, riunita dallo spirito intorno al F. unico del Padre in Gerusalemme, città della pace.

Come avvenne per i 3 peccati, poi anche la redenzione dei 3 rapporti si rivela interdipendente: cominciando da uno di loro raggiunge dinamicamente anche gli altri 2. Dalla sua fede in Dio Abramo viene proporzionalmente rieducato e riorientato anche nei confronti della sua discendenza e della terra promessagli. Nel suo rapporto con il fratello, sia Isacco che Giacobbe vengono toccati nella loro relazione con Dio e con il paese della promessa. Nella sua liturgia economica ed ecumenica, Giuseppe esercita al sommo grado il timore di Dio e l’amore filiale e fraterno.

2.1 Il Padre, Abramo 11,26-25,14

Per fede noi riceviamo la parola di Dio scritta, attraverso la coscienza di Israele credente che ha composto e canonizzato la Scrittura. Al di la’ di tutti i riferimenti e la questioni storico-critiche, perciò, e senza poter entrare ora nel ricchissimo mare della tradizione ebraica orale, ci limitiamo qui a delineare chi sia l’ Abramo della tradizione canonica della Bibbia di Israele, sia in ebraico che in greco.

Abbiamo già notato che Sap.10,5 introduce la storia di Abramo quale replica della salvifica sapienza divina alla malvagità della discendenza di Caino, e alla confusione generale dell’umanità esplosa con la costruzione di Babele.

Come si è visto di Abramo si celebrava specialmente la giustizia e la fortezza nella prova dell’obbedienza, superata con la prontezza a …..Isacco, il figlio unico e amato.

La stessa cosa, a poca distanza di tempo, viene menzionata in Ebr. II,17-19, ma la fede pasquale dell’autore cristiano gli fa leggere nell’obbedienza di Abramo una fede anticipata nel Dio che risuscita i morti.

Più esteso e ricco è l’elogio di Abramo in Sir. 44,19-21.

Si tratta di una fede ecumenica “Abramo= Avraham non è solo l’antenato di Israele, ma pure di una moltitudine di popoli 17,4-5. La sua discendenza è stata moltiplicata come la polvere della terra e innalzata come gli astri. Ad essi Dio ha promesso in eredità la terra-dono, in cui aveva già condotto il loro padre. Prima che la Torah venisse data a Israele per mezzo di Mosè, Abramo già la custodì, obbedendo al Signore ed entrando nella sua alleanza sigillata con il sacramento della circoncisione. Il culmine dell’obbedienza, Abramo lo ha vissuto nella prova richiestagli di sacrificare il figlio della promessa. Tutto questo ha fatto di lui un tramite della benedizione divina per tutti i popoli fin dai primordi della sua chiamata 12,2-3.

A queste tradizioni dell’AT bisognerebbe almeno: Rom 4: Gal 3.6-29 e Ge 2,21-24. Sia Paolo che Ge celebrano la fede di Abramo che precede ma richiede le opere di effettiva carità in cui essa si esprime e si compie Gal 3,6 …..1,5…..Solo in tale carità si fa tutta la verità Ef 4,15.

2.1.1 La fede del padre.

Quel che supremamente importa nella fede di Abramo biblico è che tutte le sue opere e il suo vivere è circondato dalla fede, di cui è il “cavaliere” (Kierkagaard). E’ questa la lezione teologica e spirituale più importante di tutta la storia patriarcale: la fede precede e muove alle opere: credere, in quanto dimensione dell’essere, ispira e specifica il fare. Mettere in opera i costumi=mores, modi umani di agire=una morale, interamente giusti richiederà tutto il tempo, di cui la coscienza umana ha bisogno per maturare progressivamente. Credere compiutamente, invece è un affidarsi dell’uomo all’Altro-il Signore Dio- immediatamente richiesto dal Signore ed è possibile all’uomo e alla donna, anche prima di diventare morali e religiosi. Come l’origine di ogni peccato proviene da non prendere sul serio la parola di Dio, così la salvezza comincerà con un’obbedienza assoluta a quella parola. La fede è virtù teologale, infusa in noi da Dio; le virtu’ morali, invece sono acquisite. Nella loro fede, prima di tutto, e non nella loro vita morale-spesso ancora imperfette e zoppicanti, condizionate dai costumi del tempo+ambiente-consiste la realissima santità dei patriarchi biblici, e anche di tutto Israele e Chiesa. Con buona parte dell’antropoligismo + antropocentrismo teologico di tutti i tempi, la vera svolta salvifica per gli esseri umani comincia da Dio. Ne’ potrebbe essere altrimenti: se la salvezza è vera salvezza essa non può cominciare dal salvato, bensì dal Salvatore.

In Abramo l’uomo è rialzato in piedi dalla chiamata di Dio e rimesso in cammino dalla sua Parola=Verbo che lo sollecita a seguirlo. La storia patriarcale ci insegna che la prima santità dell’uomo non è quella morale dell’esercizio delle virtu’, ma quella giustizia teologale, che gli proviene da Dio quale conseguenza di un’elezione singolarissima all’amicizia con lui e all’appartenenza a lui solo che gli si rivela come “il suo Signore” JHWH una condizione relazionale interpersonale, che la Bibbia chiama berit = alleanza 15.18.

Mediante la fede, il credente prende sommamente sul serio la personalità di Dio. Questi diventa veramente qu con cui si è in dialogo e in una relazione interpersonale sacrale, una volta iniziata, non può cessare più. Per il credente Dio ha una consistenza tutta sua, unica, e ben più reale e concreta della propria e di qualche altro essere. Dio gli ha dato del tu ed egli risponde col tu.

Ci possono essere uomini che si dicono “atei, agnostici e non credenti”, e che pure siano esemplari…

rigore morale… dedizione a certi valori… amano definirsi laici…. idea laica del sacro…(laico?!). Non credenti non religiosi! “santi senza Dio” Camus. Segni di immenso rispetto. Bisogna avere il coraggio di dire che il credente, che ha la fede di Abramo e di Gesù è una persona totalmente diversa, anche se, ben volentieri può aprirsi ad dialogo fruttuoso. Ma molto prima di essere morale e piuttosto di essere “religioso”, è un innamorato del Signore. Può essere peccatore come …… pubblicano come in Lc, ma è con tutta lealtà e verità appoggiato (shiu) al suo Signore, sul Santo di Israele e non su se stesso Is 10,20. La sua condizione non sta sulla propria coerenza e dirittura d’animo, ma nel desiderio di contemplare il volto del suo Signore e la sua gloria Eb 33,18-23.

29.10.98

Il Dio del credente biblico non è solo Dio = Elohim, un nome comune, bensì JHWH Adonaj=il Signore, il mio Signore Gn 13,4; 4,26. Prima di cercarlo e di trovarlo negli uomini – in se stesso, nel fratello nel povero – o nel creato, il credente si è lasciato incontrare da lui in persona, distinto da se’ e ben più importante e interessante di se’. Il Signore della fede non è scoperto dall’uomo come il termine di una sua ricerca, come qu davanti a noi, che si sia finalmente raggiunto dopo averlo lungamente inseguito At 17,26-28. Da lui, piuttosto, l’uomo si sente conosciuto e creato da sempre, ma adesso scoperto e afferrato di sorpresa, come alle spalle, e abbracciato con forza e con infinita tenerezza amicale Fil 3.8-14. Il nome con cui il Signore ci chiama nella fede, non è semplicemente “uomo”, ma il nostro nome proprio: Abram 15,2. Anzi l’incontro con il Signore ci individualizza singolarmente, ci personalizza in modo così irripetibile e inconfondibile, che dà un senso completamente nuovo al nostro stesso nome e lo lascia segnato per sempre: Avraham, Avraham 22,I.II cfr 17,5. La parola di Dio entra nell’esistenza dell’uomo con una “rivelazione“una “primizia” assoluta: irrompe nell’esistenza di colui che è chiamato a, attraverso di lui, nella storia di tutta l’umanità e del mondo: trascende ogni preparazione e ogni attesa precedente.

La fede sorprende, sconvolge, rivoluziona anche la “religiosità” dell’uomo, precedendola ormai e condizionandola radicalmente Gn 24,2-3 ; Gdt 5,7-9. Lungi dal farsi riassorbire e reintegrare nella “religione”, la fede la ridimensiona, la relativizza e la subordina integralmente alla parola del Signore: “io anzi vi dico… Mt 5,22 ecc.

Essa tira fuori l’uomo dalla situazione precedente, soprattutto da quella che viene comunemente sperimentata e rientra come una condizione “naturale”, “logica”, “proporzionata” E lo proietta sui sentieri di un pellegrinaggio che va al di là della scena di questo mondo 1 Cor7,31: Gn 12.1 .

Apparentemente si potrebbe dire che, se la fede viene a redimere, a restaurare, a salvare la creazione , essa dovrebbe procedere nel modo più naturale e consono ad essa, dal momento che il Dio della salvezza è lo stesso Dio della creazione. Non è così ! Tra la creazione e la salvezza, infatti, c’è il regno del peccato. Le medicine non possono sempre rispettare tutti i ritmi naturali dei nostri organismi. La violenza con cui esse possono annunciarsi nel malato non dipendono dall’ “innaturalità“ della cura, bensì dalla “ innaturalità “ del male. La fede che salva non è semplicemente una provvidenza “omeopatica”. Essa scaturisce dalla fede di Gesù e dal suo mistero pasquale di croce/resurr. L’ordine di immolare il figlio Isacco, su di un monte nel territorio di Moria 22,1-2 può “apparire” disumano e violento. Ma infinitamente più disumana e violenta è la pseudo-sapienza che ha libero corso nel mondo del peccato. E si può accettare, nella fede, che il Signore sappia servirsi della stoltezza della croce del Figlio-che è stata ben lontana dall’essere “apparente” – per operare la riconciliazione del mondo in lui 2 Cor 5,18-21; si tratta di ricondurre l’uomo depravato e alienato a trattare Dio da Dio e se stesso da uomo.1 Cor 1,21-25

L’elezione, a cui fa seguito il dono della fede, è totalmente gratuita e chiama l’uomo a partecipare alla santità (=messa a parte, individuazione della trascendenza) propria di Dio: “ Siate santi .-Lv 11,44-45. Per essere stato scelto da Dio, Israele è già un popolo santo Dt. 7,6-8. La prima risposta dell’uomo a una tale elezione è “eccomi” (hinneni 22,1.11.) che è una specie di Amen, Sì= sono disponibile per te, va bene così , accolgo questa tua proposta, mi fido e mi abbandono totalmente ad essa e, in tale abbandono in Te, io mi sento interamente sicuro) 2 Cor 1,19-20. Questa accoglienza è la fede che giustifica l’uomo 15,6 Rom 4,3.9.22. Difatti il titolo + proprio che il Signore riconosce ad Abramo è : “ Il mio amico” ohavi Is 41,8. La fede di Abramo non consiste in primo luogo, in un suo atto, o …., con cui egli creda a certe verità rivelate da Dio, ma nel suo consentire a stabilirsi abitualmente in una relazione interpersonale, in un’amicizia con il suo Signore (Tu-io) che nulla può infrangere, perchè “nessuno può disgiungere ciò che Dio ha unito Mt 19,6b. La Bibbia utilizza diverse metafore per indicare tale rapporto : ospitalità , alleanza, patto, appartenenza (= segullah Es 19,5 ecc..) eredità Dt 4,20, passione amorosa, amore sponsale, filiazione…ecc . Anche se queste similitudini, tutte per se’ inadeguate vanno prese sempre insieme, senza privilegiarne una sola a esclusione delle altre, il NT indica che la filiazione e spiritualità sono quelle meno lontane della realtà indicibile del mistero di Dio-Amore 1 Gv 4,8.16. Gesù, infatti, è per natura il ”Figlio” unico del Padre Gv 1,14.19; 3,16-18; Rom 1,3. Tutti gli altri uomini e donne sono nati una prima volta per poi “diventare figli di Dio Gv 1,12;3,3-8, accogliendo lui e credendo nel mio nome Gesù Messia è l’Amen, il Si del Padre agli uomini 2 Cor 1,19-20,e, insieme, l’amen (il si) dell’ umanità a Dio. Gli uomini che, in lui, si offrono come un Amen che sale a Dio 2 Cor 1,20b, diventano Gerusalemme, Tenda città di Dio con gli uomini. “ La fidanzata dell’Agnello” “ La Sposa” del xto, tutta gloriosa, santa e immacolata Ef 5,25-27 La fede che il Signore chiede ad Abramo, però è una fede particolarmente difficile. Si tratta infatti di una fede medicinale e salvifica del peccato. E’ questa fede che troverà il proprio compimento finale e perfetto nella fede filiale di Gesù ed è perciò anche la nostra. Come quella chiesta a Noè il cui pio timore doveva condannare il mondo Eb 11,7, e ancor più di essa, la fede di Abramo (e di Gesù) è una fede folle. Abramo è il cavaliere di questa fede (Kirgaard) che solo gradualmente verrà appresa da colui che dovrà diventare “ il Padre di tutti i credenti “ Rom 4.11.22. Folle è credere fino a partire da se stessi, senza sapere dove si va Eb 11,8. Folle è credere, soggiornando semplicemente attendati come in una regione straniera nella terra promessaci Eb 11.9. Folle è credere che si otterrà una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia…quando non si è riusciti a generare nemmeno un figlio da una sposa sterile Eb 11,11-12. Folle è credere ancora nei beni promessi quando si giunge a morire senza averli conseguiti Eb 11,13. Folle soprattutto è continuare a credere alla presenza della discendenza persino quando si è pronti a sacrificare, sull’ordine di Dio, il figlio della promessa, l’unico e l’amato Eb. 11,17-19. La nascita di Ismaele prudentemente pianificata da Sarai e da Abram per “dare una mano” al Signore, “invitandolo” a tener fede alla sua promessa , mostra quanto difficile sia per Abramo e per Sara credere totalmente alla parola di Dio. Lo stratagemma di procurare un figlio a Sarai, sia pure ricorrendo a legittimi costumi di quel tempo, facendolo cioè generare dalla sua schiava egiziana – la madre- padrona si prolunga in tutto il suo gruppo Gn 30,3-13; 35,22b-26- nasce nel tentativo intraprendente di mettere il Signore di fronte al fatto compiuto di un intervento umano che adempia la sua parola. Una specie di …….fai da te! Dal momento che sembra che Dio non si muova. Si cerca con le “migliori intenzioni”, di manipolare la sua volontà, come se quella parola e questa volontà non fossero esclusivamente di Dio Gn 16. Se Dio mi da’ una vocazione io non posso fabbricarmene un’altra ne’ aggiustare la prima sulla seconda che sopravvenga a piacermi in modo alternativo, per dire poi, magari una volta che abbia cambiato le carte in tavola :”ormai le cose per me sono cambiate. La volontà di Dio su di me ormai è questa nuova situazione che io ho creato!” Una cosa infatti è la fede pura e nuda : altri è la rappresentazione , l’immagine che di essa l’uomo si fa. Una cosa è la pura volontà di Dio: altra è la coscienza che di essa gradualmente l’uomo va prendendo, e l’interpretazione che di essa vada elaborando. Appena, infatti, è chiamato a partecipare all’opera di Dio per cooperarvi, l’uomo mostra subito una pretesa di dirigere le operazioni secondo la propria “ prudenza”, interpretando l’agire divino entro gli schemi del proprio agire : smania di interferire e intervenire a modo suo nell’opera di Dio, mettendoci le mani pesantemente; presume di correggere il tiro secondo i propri punti di vista, dicendo: “ Io,Io…” ( 15,2 ; 16,2; 17,17-18;18,12) e dimenticando il primato del Tu=fede; nemmeno Mosè sfuggirà a questa tentazione Num 20,7-13,20; 27,13-14; Dt 32,50-52. Ismaele e’ il frutto della carme e della prudenza carnale di Sarai ed Abram. Con lui “Dio ha ascoltato (=Ismael) la filiazione di Agar 16,11. Ma “quel che è nato dalla carne è carne” rimane carne e non può diventare spirito a forza di espedienti e di stratagemmi carnali Gv 3,6; 6,3 –su ciò il Signore non transige. Il figlio della promessa è Isacco, il figlio dell’impossibile, il figlio non della carne ma, nella carne, dell’impotenza della carne 17,15-22;18,11-14. In lui “Dio sorride” (Yitzchag) su tutto il ridere dell’uomo e della donna, che così spesso e per tanta parte caricarne le loro facoltà generative 17,17.19,18,12-15. La vicenda di Ismaele è il segno di quanto graduale sia stato per Abram, l’apprendistato per giungere ad una fede perfetta Gn 22 e di quanto dolorosamente egli abbia dovuto accettare le conseguenze della propria incredulità Gn 21,8-21. –

5.11.98

2.1.2 la prova suprema di fede

In Gn 22 leggiamo il racconto culminante della storia di Abramo, quello che la tradizione ebraica chiama Agadah = la “legatura” di Isacco in vista del suo sacrificio, apparentemente richiesto dal Signore sul monte Moria.

La prima cosa che una lectio divina coglie in questo testo non è l’eziologia di un luogo di culto e ancora meno la condanna dei sacrifici umani, che solo più tardi i profeti, e anche la Torah, condanneranno nl costume diffuso del tempo. Come subito dirà, non si deve confondere la fede con la morale. La parola di Dio, lungi dall’insinuare un giudizio morale negativo, qui sommamente esalta l’obbedienza del padre, il quale “in buona e perfetta fede” lungamente maturata per tre giorni di cammino, è prontissimo (Eccomi: vv.1,11) a offrire in olocausto il figlio, l’unico e amato (v. 2 vv. 11.16) Il “timore di Dio” v.12 è qui il nome della fede obbediente di Abramo v.18. Dio va creduto e obbedito sopra tutto Ne 9.8. Non si tratta di moralità, che consiste nel seguire sinceramente e coerentemente con se stessi la voce immanente della propria coscienza che ci addita certi valori. Qui è in gioco la dimensione dialogico-teologale della coscienza dell’uomo che si sente chiamato dalla voce dell’altro del Dio -Amico-Abramo Abramo 1,11.13 alla fedeltà nonostante tutto e prima ancora di aver potuto elaborare tutto un discorso logico per giustificare intrinsecamente e soddisfacentemente la propria obbedienza. Così, più tardi, anche Simone dirà a Gesù: “Maestro abbiamo faticato…(.e noi conosciamo bene il lago…): ma sulla tua parola… Lc 5,5

E’ questa la frontiera della fede, per cui l’uomo si trascende entrando nella verità della relazione con io, obbedendo alla sua parola, più che alla propria testa. Il Dio della fede di Abramo fa storia, ci fa fare storia facendoci uscire dal ciclo naturale e necessario delle cose, e introducendoci liberamente in una vicenda personale e contingente che riguarda lui.

Abramo, come già Noè, non replica nulla, non obietta nulla all’ordine di Dio. Egli va prontamente “di buon mattino” v.3 Cammina per tre giorni con il figlio, ancora vivo accanto a lui, ma già morto nel suo cuore di padre a causa della propria libera determinazione a obbedire alla parola del Signore. Allo stesso modo Gesù vivrà la sua morte anticipatamente durante la sua ultima cena pasquale e durante il suo combattimento interiore nell’orto Getzemani.

L’ordine divino di sacrificare Isacco non costituisce semplicemente una prova durissima per la tenerezza di Abramo verso il figlio. Questo figlio che bisogna adesso offrire è l’unico “figlio di Sara” rimasto, dopo che Ismaele è stato licenziato insieme a sua madre 21,14. Soprattutto Isacco è l’unico depositario delle promesse di Dio e della verità della voce prima di Abramo, della sua avventura e della sua sessa identità dopo la partenza da Carran Eb 11,17-18. Alla sorte di Isacco è indissolubilmente legata la coscienza che Abramo avrà dl rapporto col suo Signore, la fondatezza e l’avvenir della sua fede in lui. Dice molo bene Paolo Rm 4,18 “in spe contra spem”.

Secondo alcune letture ebraiche, Abramo sacrificò di fatto Isacco, che il Signore poi risuscitò cfr Eb 11,19…lo riebbe e fu come un simbolo (en parabolè).

La Bibbia greca LXX traduce “il figlio unico” con” amatissimo”” e il NT riprende più volte questa espressione per designare Gesù come il figlio unico e amato” di Dio Padre (cfr. testi Battesimo + Trasfigurazione) Ciò mostra che la comunità ebraica dei primi secoli di Gesù ha riconosciuto in lui “l’ultimo Isacco”, la “discendenza per eccellenza e definitiva di Abramo” Mt 1,1.17; Lc1,55.73….. un’immagine dello stesso Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo”. Al punto che coloro che sono “figli di Dio in Cristo Gesù” sono anche “discendenza di Abramo” Gal 3,7. 26-29

Lo scarto tra fede e morale di Abramo.

Se progressiva è l’accoglienza del dono della fede da parte di Abramo, ancora più lenta e progressiva è, nella storia dei patriarchi d’ Israele, l’acquisizione di costumi morali che dalla fede scaturiscano, penetrino e discernano la loro esperienza antropologico-culturale, e presiedano all’esercizio attuale delle loro virtù. L’etica dei patriarchi appare molto inadeguata alla loro vocazione divina. A parte la peccaminosità, dalla quale non sono mai dispensati, il passo dell’evoluzione della loro coscienza morale è lento e incerto come sempre avviene nelle cose umane: l’interpretazione di sé e del mondo con cui essi formulano delle regole per l’agire proprio e degli altri, è faticosa e stenta a liberarsi della propria soggettività egoistica: la diffusione liberante del rapporto “Io-Tu” proprio della fede in tutto l’agire umano incontra debolezze, ostacoli, impermeabilità tra i condizionamenti storico-culturali delle situazioni storiche dei loro ambienti. La chiamata alla fede non fa diventare immediatamente santi dal punto di vista morale (cfr pure la moralità delle figlie di Lot in Gn 19,30-38; o di Tamar, nuora di Giuda Gn38.

Così il comportamento di Abramo nei confronti della moglie Sarai in Egitto 12,10-20 e a Gerar 20,1-18: anche dopo che il Signore aveva cambiato i nomi 17,4-5.15-16, non è certo un modello da canonizzare. La stessa cosa avverrà nella storia di Isacco, ancora a Gerar 26,1-14. Oltre tutto questi rischi che, per salvare la propria pelle, i patriarchi fanno correre alle loro mogli -Sara e Rebecca le madri del popolo eletto sono sempre delle donne bellissime, nonostante l’età 12,11-16; 26,7- non sono solo rischi morali. Essi toccano pure la dimensione teologale mettono in pericolo la promessa divina concernete la discendenza, che deve essere discendenza di Abramo. Ecco perché in Signore dell’alleanza non ha permesso che i suoi “messia”=unto, consacrato, fossero toccati e che ai “suoi profeti” fosse fatto alcun male, nonostante il loro essere ancora al di sotto della loro chiamata Sal 105,12-15.

Il libro della Gn, nei suoi intenti molto più teologali che morali, riferisce i fatti senza spingersi a dare una valutazione dei comportamenti morali dei patriarchi, ma la presentazione che fa del faraone o di Abimelech, re di Gezar 20,2 e poi anacronisticamente re dei Filistei 26,1-8 è ben più nobile e lodevole di quella piuttosto meschina dei patriarchi di Israele.

Solo alla “IV generazione”, con Giuseppe – e finalmente solo in Gesù, del quale Giuseppe è tipo profetico-, la fede crea nelle coscienze dei discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe, un insieme coerente di comportamento morale. Allora la storia dei patriarchi Ebrei, resi santi dall’elezione divina, registrerà tra di loro un comportamento morale adeguatamente santo.

Per quanto concerne il Signore, Israele è una nazione santa, un popolo Santo fin dall’alba della sua chiamata Es 19,6; Dt 7,6.. Questo vocabolario, per cui la santità teologale (proveniente dall’operazione di Dio) precede e prevale su ogni santità umana (morale proveniente dall’operare umano) durerà in tutto il NT Rom 1,7; 15,25-26.31. L’avventura di Dio con l’uomo incomincia da Dio, e da Dio solo. La via della fede incomincia con la fede, non con la morale, e nemmeno con la religione, come si vedrà in Giacobbe.

La relazione con l’altro e quella con la terra nella storia di Abramo.

Si è visto che sia nell’economia della creazione sia in quella del peccato le 3 dimensioni fondamentali dell’uomo creato da Dio – relazione con Dio, con l’altro essere umano, con la terra – sono tra loro irriducibili, ma pure strettamente congiunte e interdipendenti. Questo rimane vero, ovviamente, pure nella ricostruzione redentrice dell’ uomo nella via della fede, e appare chiaramente già nella storia di Abramo.

Ambedue le relazioni con l’altro= l’umanità intera e con la terra, sono previste fin dal principio nelle promesse fatte dal Signore ad Abramo: quella di una discendenza numerosa…e quella del possesso del paese di Canaan….

Relazione orizzontale= l’altro = l’umanità e perciò la fiducia + sicurezza derivante da una discendenza la Bibbia specifica “Abramo aveva 92 anni quando fece circoncidere… 17,24-25. Dunque, dopo più di 13 anni dalla promessa della discendenza 15,4-6;16,16 e quando Abramo e Sara erano più vecchi che mai 18,11-12 il figlio della promessa non era ancora nato.

Ciò nonostante, Abramo è presentato come uomo generoso, giusto e ripetutamente premuroso nei confronti del nipote Lot 13,1-12; 14,12-16.20-24; l’amico di Dio che la fede rende solitario, è reso pure subito non isolato, ma generosamente efficacemente solidale con l’altro 12,5:… Con colui che è chiamato da Dio, dal Dio di tutti, c’è sempre un altro, che non è chiamato da Dio direttamente, ma per il quale il primo è pure chiamato. La fede crea nel credente un vincolo con il Signore talmente singolare che lo libera per la più vera comunione con gli uomini. Così Abramo non è solo sollecito di Lot, suo parente, ma di tutta la città di Sodoma, per la cui salvezza ingaggia una contesa memorabile con il suo Signore 18,16-38. Così Israele è chiamato per le nazioni, Gesù è eletto per noi Gv 1,34 sec. Manoscritti, la Chiesa per il mondo.

Quanto alla relazione con la terra, ricordiamo in Eb 11,13 che non solo Abramo, ma anche Isacco e Giacobbe, con i suoi dodici figli, morirono tutti nella fede…conseguire i beni promessi, senza però averli ancora conseguiti “ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra”.

Questa lezione sull’ordine esistente tra le 3 dimensioni strutturali della creazione è molto istruttiva sia per le persone, sia per le comunità. Le tre dimensioni sono inseparabili, ma non necessariamente contemporanee e coordinate tra loro. La fede in Dio è richiesta immediatamente e in misura integrale. La relazione di comunione e carità richiede un tempo e una maturazione più lunga ed è condizionata e diversificata da svariate circostanze. La speranza concerne il possesso della terra e dei beni promessi – e quindi lo sviluppo pieno del nostro corpo nella creazione finalmente integrata e liberata- può attendere ancora di più pur senza venir mai meno Rm 8,19-25. Si potrebbe concludere che la storia di Abramo, specie per quanto riguarda la promessa della Terra che il Signore gli destina in dono, già suppone e si protende verso l’escatologia NT.

  1. I 2 fratelli

Isacco e Ismaele21,1-25

Giacobbe e Esaù 25,19-36

“Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli “ Mt 21,28

“Disse ancora: Un uomo aveva due figli” Lc 15,11

Per la Bibbia è quasi un ritornello, come sulla bocca di Gesù. Abramo aveva due figli (uno di Sara e uno di Agar, ma da attribuire a Sara): Isacco e Ismaele. Isacco ha Esaù e Giacobbe da Rebecca, l’amata più altri dieci figli e una figlia di Lia e delle schiave (Bila e Zilpa) dele sue mogli, ma per conto di esse 29,31 -30, -24; Giuseppe ha Manasse e Efraim da Asenat in Egitto 41,50-52. Dio stesso in principio crea un Adam maschile e femminile 1,27; 2,7-25; 5,1-2. Finalmente, persino Dio Padre, se ha un unico e amatissimo Figlio, in lui offre agli uomini tutti e a tutte le donne il potere di diventare suoi figli Gv 1,12-18

Come si è detto, questo emergere dell’Altro, del secondo, a fianco del primo, è introdotto nella Bibbia con i connotati di un mistero, che profetizza una specie di proiezione dell’unicità divina nella molteplicità della carne umana quale compito da realizzare, a cui si è ordinati fin dal principio: 2,18.20; 2,21; 2,23 “Questa volta sì”; 2,24; 1,27; 5,17- 2.

Quando Abramo giunse a Sichem, nel paese che il Signore gli promette di dare alla sua discendenza “si trovavano allora i cananei”, “gli altri” 12,6-7 . Così pure quando gli israeliti, guidati da Giosuè, entreranno nella terra promessa da est, sembra che vi stiano giungendo i filistei, gli altri dal mare, da ovest.

Ismaele non è, né può diventare in alcun modo, “il figlio della promessa”. Ma egli è là col suo destino di figlio benedetto e circonciso, e dunque partecipe dell’alleanza perenne di Abramo 17,-27. E quando Abramo, sia ppure a malincuore, si sentirà costretto a disfarsi di lui e della madre, Dio ode la voce e il pianto di Ismaele 16,11, là dove si trova, perduto nel deserto di Bersabea, provvede alla sua sete ed “è con lui”, riservandogli un destino da grande nazione 21, 11-21. Dio ben più di Abramo si prende cura di Agar e di Ismaele ma non come del figlio della promessa, bensì come dell’altro, al quale dovrà ben giungere la benedizione del primo. Dio ama tutte le cose esistenti e nulla disprezza di quanto ha creato Sap 11,24.

Alla morte e alla sepoltura del padre i due figli si ritrovano sempre insieme 5,7-18: per Abramo 35,27-36,43; per Isacco 49,29-50,14 per Giacobbe.

Lo stesso paese sarà la casa comune dei due. Esso verrà chiamato abitualmente con due nomi: “Terra di Israele” e anche “terra di Canaan” e più tardi “Palestina”= Filistea.

La somiglianza e l’essere a immagine di Dio, per l’uomo/donna non è qualcosa già dato. E’ una vocazione e un compito da svolgere. E’ una condizione sine qua non di tale svolgimento è la relazione originalissima di una comunione con l’altro da sé (maschio/femmina; Israele/nazioni; israelita/cananeo; israelita/filisteo; ebreo/greco; ebreo/arabo; israeliano/palestinese… e anche bianco/nero; nord/sud; padrone/servo; ricco/povero…riconosciuto e accolto con la su identità diversa, con la vocazione differente, ma complementare che Dio gli affida.

La presenza e soprattutto la differenza dell’altro crea problemi di ogni genere. La storia di Caino e Abele simboleggia e profetizza tutti i modi peccaminosi nei quali gli uomini di ieri e di oggi e di sempre cercano di risolverli eliminando l’altro. Veramente per fede Isacco benedisse Giacobbe ed Esaù riguardo a cose future Ebr 11,20.

La storia di Isacco ed Ismaele e soprattutto quella dei due gemelli Giacobbe ed Esaù, descrive, all’interno della via della fede il cammino faticoso e santo per cui dalla competitività, dalla paura e dalla fuga dall’altro 25,9-34; 27-28 si torna ad abbracciarlo ed a condividere con lui la stessa terra, quale comune eredità 33,1-17; Gdt 8,25-27

22.11.98

2.2.1 La fede e la morale di Giacobbe il soppiantatore

La più bella rilettura teologica della figura di Giacobbe ci è data da Sap 10,9-12

In Giacobbe Israele nella sua storia travagliata, ancor più che in Abramo, il popolo d’Israele si riconosce, con il suo destino ambiguo di elezione e di sofferenza, di santità e di peccato, di benedizione e di lotta incessante Sir 44,22-23

Anche qui, prima di tutto, la Bibbia celebra la santità di Giacobbe. Una santità tutta teologale. Più appare la fragilità fisica e morale del gemello dalla “pelle liscia” 27,11-12. 15-16 più rifulge la gratuità assoluta dell’elezione/alleanza, per cui Dio lo mette a parte per la benedizione.

La storia di Giacobbe e di Esaù racchiude una grande lezione sulla “giustizia”. Questa è radicalmente differente a seconda che si tratti della “giustizia di Dio” o della giustizia umana. Se questa consiste nell’ unicuique suum, è evidente che nulla spetta alla creatura nei confronti del Creatore: nulla almeno, se non condizionatamente alla libra volontà del Creatore. Se si può parlare, infatti, di una giustizia dell’economia della creazione”, una volta verificatasi la condizione di una creazione libera da parte di Dio, questa giustizia non giustifica in alcun modo l’economia doppiamente gratuita Questa regola paradossale che trasgredisce e capovolge la solenne precedenza orientale del figlio maggiore sul minore è propria dell’economia divina di redenzione e si afferma, dopo il peccato, nella condizione umana che essa intende guarire ed equilibrare: cfr Caino/Abele 4,5;Ismaele/Isacco 21,12; Esaù/Giacobbe 27,29; Lia/Rachele 29,16-20.30; tra i figli di Lia e quelli di Rachele: Giuseppe e Beniamino nella discendenza di Giacobbe 37,3-11; tra i figli di Giuseppe: Manasse/Efraim 41,50-52; 48,5-20; tra i primi figli di Iesse e l’ottavo, Davide, il più piccolo 1 Sam 16,1-13; tra Adonia e Salomone 1Re 2,13-25…fino alla precedenza del “più piccolo nel regno dei cieli” sul “più grande tra i nati di donna” Mt 11,11-14; Lc 7,28; 16,16.

La vicenda dei due fratelli – narrata con non pochi toni umoristici, che si colgono soprattutto nel testo ebraico – distingue chiaramente la “giustizia di Dio” Dt 33,21 da una parte, e l’ingiustizia del fratello verso il fratello (+ madre verso il figlio maggiore) dall’altra. Dio è giusto (zaddiq) in quanto è diritto, retto, consistente con se stesso e con la sua benevolenza immancabile e gratuita verso tutti, ma insindacabilmente nei riguardi di ciascuno. Come si è visto in Caino/Abele e ancor prima nella creazione di Adam maschio e di quello femmina, Dio non ama tutti nello stesso modo, ma ama sì tutti e ciascuno in un modo che è quello proprio di ciascuno (se gli uomini possono fare l’uno nei confronti dell’altro anche un gioco disonesto, violento,…sgambettatore….Dio da parte sua è capace di fare il proprio purissimo gioco di grazia dentro i giochi degli uomini, siano essi puliti o sporchi, onesti o disonesti…

Così facendo, anzi, il Signore manifesta che l’economia della grazia non è legata e condizionata da quella della natura Rm 11,16-24; che la grazia è davvero gratuita e non può essere meritata dall’uomo Rm 3,20; 11,5-6; che la elazione di alleanza è prodotta dalla scelta di Dio e non da quelle umane 18,17-19; Dt 4,20; che la salvezza è davvero tale salvezza della perdizione e della rovina Lc 15,4-10.23-24; che “quel che è stato dalla carne e carne….” E che “se uno non nasce dall’altro…” Gv3,3-7; e che la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio 1Cor15,50

Una volta stabilito saldamente nella coscienza di Israele il ruolo “fondatore” del patriarca, però, i profeti posteriori non mancheranno di rilevarne la immoralità nei confronti del fratello Esaù: una immoralità che ha inverato il segno premonitore della sua nascita e il suo nome “Giacobbe”: tallonatore, soppiantatore, imbroglione: ”Subito dopo uscì il fratello e teneva in mano il tallone ‘agev di Esaù: fu chiamato Ya’agov”.

Dopo che il fratello gli avrà carpito la benedizione paterna, Esaù esclamerà: ”Forse perchè si chiama Giacobbe mi ha soppiantato (agav) già due volte? Già ha carpito la mia primogenitura ed ecco ora ha carpito la mia benedizione “ 27,36

In lite con il suo popolo il Signore lo rimprovera Is 43, 19-22. 24-28 cfr Ger 9,1-3; Osea 12,1-15.

Quest’ultimo testo sembra una rilettura della storia di Giacobbe tratta da Gn una ripresa attraverso la vicenda dell’ Es mosaico fino alle tragedie incombenti delle invasioni assire (e babilonesi cfr Os che attualizza), fatte oggetto di discernimento da parte del ministero profetico. E’ un bell’esempio di come la Bibbia accompagni l’evoluzione della coscienza religiosa d’Israele nella scoperta progressiva delle esigenze della fede degli inizi, e del loro allargarsi all’intera sfera morale personale e collettiva.

Nella Gn il comportamento senza scrupoli e soppiantatore di Giacobbe e Rebecca è descritto senza darne alcun espresso giudizio morale, come per quanto riguarda la poco nobile codardia di Abramo e Isacco nei confronti delle rispettive mogli. La Gn però non manca di presentare le figure del faraone e di più nobile e generoso di quello grettamente calcolatore di Giacobbe 32,4-22; 33,1-17

Nel complesso però la Gn più che a un comportamento moralmente integro si mostra sensibile a una concezione molto diffusa nel mondo antico secondo cui l’eroe trionfa dell’antagonista + alleati, può trionfare con la forza+valore oppure con l’abilità e l’astuzia: Achille e Ulisse. L’inganno è uno stratagemma bellico senza dichiarazioni di guerra, è un “golpe” non violento. L’inganno riuscito=prova di destrezza …viene celebrata in Giacobbe sia 25,29-33 sia 30,25-31 (Lebano).

Un’astuzia “interessata” del resto e “di famiglia” appresa dalla madre 27,5 28,5 di cui Giacobbe stesso rimane vittima quando risulta” giaccobato” dallo zio Lebano nella faccenda di Rachele e Lia 2,15-30; una tendenza alla frode, di cui fa prova pure la bella Rachele a danno del padre 31,22 -42. Anche in questo caso, però, come nella relazione con Esaù, prevalgono le intese familiari, più redditizie finalmente di tutte le frodi 31,2- 32,1.

Per i profeti, invece, si fa molto più chiaro che 2il fine non giustifica i mezzi” e che il vero successo non è quello dell’uomo astuto, interessato, senza scrupoli, ma quello dell’uomo fedele. Anche perché la frode è, finalmente, un peccato contro Dio, e non deve trovar posto e legittimazione nei costumi (mores) di un popolo che è il suo e che deve essere nel mondo testimone della sua santità Lv 11,44-45…

Il giudizio morale negativo sulla condotta del primo padre d’Israele tuttavia non cancella ma esalta, anzi, la insindacabile e sconvolgente gratuità dell’elezione divina del fratello minore 25,22-26 Rm 9,10-24

La lettura sapienziale della figura di Giacobbe, finalmente come si è detto in Sap 10,9-12 è quella che interpreta in maniera più profonda e compiuta la tradizione biblica su di lui. scelto dal Dio dell’alleanza e promessa, Giacobbe è chiamato a diventare “discepolo di YHWH iniziato alle cose sante e al regno di Dio 32,1-3. Abituato dalla sua indole e dai consigli materni ai sentieri obliqui della frode e dell’interesse senza scrupoli, deve apprendere con fiducia i sentieri giusti e diritti di Dio e, solo lavorando lungamente, può conseguire i frutti abbondanti e ricchi del suo lavoro. Sembra quasi che l’eletto di Dio sia il più maldestro nella sfera morale come se portasse su di sé un peso divino troppo gravoso per le sue spalle umane. L’eletto di Dio – e perciò reso diverso dal fratello – deve trovare con l’altro un modo di convivenza sulla stessa terra che, finalmente, faccia accettare all’altro la propria elezione, così che essa diventi anche per lui tramite della benedizione che ad ambedue è destinata non però come diritto nativo o come preda carpita, ma come dono gratuito. I doni di Dio infatti devono essere comunicati e fatti circolare orizzontalmente. L’armonizzazione natura/grazia per Giacobbe risulta più faticosa che per il fratello.

Questa fatica è ben rappresentata dal sogno di Betel 28,10-22 , dove Giacobbe poggia il suo capo su di una pietra che si è posta sotto come guanciale e sogna…dal cielo alla terra…mentre orizzontalmente il Signore gli apre davanti l’occidente e l’oriente, il settentrione e il mezzogiorno; dove la promessa della terra di Canaan, paradossalmente, raggiunge l’esule sulla frontiera della sua fuga da Bersabea a Carran, ma ancor più lo proietta sulla soglia della casa di Dio, alla porta del cielo: luogo terribile che riempie Giacobbe di terrore. Giacobbe quasi inciampa in un luogo (maqorn) ripetuta sei volte II tor 16.17.19=evidente l’intenzione di localizzare in Betel la teofania. Siamo in piena logica dell’incarnazione storica: il Dio dei patriarchi non è presente dappertutto allo stesso modo, ma solo in certi luoghi, per quel che concerne il loro destino. Il testo trova la sua piena consu …….. di senso in Gv 1,51 dove alla fine di una cascata di titoli messianici, Gesù si definisce l’ultimo Bet-tl il luogo supremo dell’incontro orizzontale-verticale tra terra e cielo Gv 4,20-24 sg.

Il soppiantatore ricco di calcoli interessati e piattamente orizzontali, deve sogliarsi alla dimensione sconvolgente del confronto verticale con un Dio che non è solo il Dio di Abramo, di Isacco, ma per lui sarà soprattutto il Dio di Betel 31,13 cfr 28,19-22 ; 35,1-15; Os 12,5.

Tutta la storia di Giacobbe è una magnifica storia di conversione. E’ anzi la storia paradigmatica della conversione di Israele. Giacobbe è un uomo intrigante che architetta in modo autonomo e immanentista di fare gli affari propri di “carpire la benedizione divina” sgambettando il fratello in un contesto culturale-religioso da cui non è assente una mentalità magica 27,33-41 che si incontra sovente nei libri della Bibbia 3,1-7. Questo aspetto della sua storia che si potrebbe dire gnostico ante litteram fa pensare ad un’altra figura biblica molto più tardiva , quella del mago samariano Simone, la cosiddetta grande potenza di Dio At 8,9-25.

Dalla tendenza a “carpire” e ad “accaparrare per sé” (Lapach) Giacobbe deve convertirsi e “conoscere che la pietà è più potente di tutto” Sap 10,12

Gn 32,25-52

Il termine panim (faccia volto) è ripetuto più volte in questi testi 32,4.17.18.21.22.31 – 33,10.

La grande paura di Giacobbe, rientrando nella terra promessa, è come affrontare la faccia di Esaù in modo da salvare la propria trovando grazia ai suoi occhi 32,6; 33,8.10.15 ; cfr l’alzarsi degli occhi dei due fratelli al loro incontro 33,1.5 . Angosciato dal timore di questo incontro, Giacobbe confida nei suoi consueti,tipici stratagemmi: distribuisce la gente e i beni che porta con sé i due accampamenti 32,8-9 in fretta prende “di ciò che gli capita fra mano”, cose di cui fare una cascata di doni da spedire in scaglioni successivi al fratello Esaù prima di incontrarlo personalmente 32,21b-22.

Il soppiantatore continua a nascondere la sua persona dietro alle sue cose. Così a Betel si era affrettato a propiziarsi il Signore facendo un voto a proposito di decime da offrire al Signore 28,20-22.

Anche la preghiera che Giacobbe rivolge al Signore, Dio del suo padre Abramo+ Isacco, prima di attraversare il guado precipitoso dello Iabbok , insieme alle sue due mogli, alle due schiave e ai suoi 11 figli, sa un po’ di animo interessato e di autocelebrazione. Il Signore – sembra ricordarglielo –“deve stare dalla sua parte”!32,10-13.

La sfibrante lotta notturna sulla Iabbok rovescia la situazione e il nome del “tallonatore2, il quale viene convertito in “Israele2 dal Dio di Betel 33,20; 35,9-10

Dio ha la precedenza su tutto e su tutti. Ci si preoccupava di come incontrare “la faccia del fratello”. E’ davanti a Lui che prima di tutto dobbiamo “salvare la nostra faccia”. Il secondo comandamento è simile al primo Mt 22,34-40…nel senso che, senza il primo, il secondo perde ontologicamente ogni riferimento, la sua ragion d’essere, la sua consistenza. Ogni problema di relazione con l’altro è preceduto dalla verità del nostro rapporto con l’Altro 4,3-16. L’orizzontale è preceduto dal verticale. La persona=il volto, deve venir fuori, scoprirsi ed esporsi prima delle sue cose: l’essere deve passare prima dell’avere.

Durante il viaggio, del resto, dopo il patto con Labano sulle montagne di Galaad, Giacobbe aveva incontrato gli angeli di Dio e prima di disporre la sua gente nei suoi 2 accampamenti aveva incrociato l’accampamento di Dio che egli aveva chiamato Machanaim (un duale:2 accampamenti di Dio 32,2-3).

Tutta la Bibbia in certo modo si riassume in questo altissimo e mistico testo. Al guado dello Iabbok – Yaaqov sulla frontiera per il paese “sicuro e fidato” del proprio parentado e la “terra di Dio” – “terra di passaggio” (magur) e proprietà sepolcrale 23,4.20, dove si rimane sempre forestieri -27,43 28,5- l’uomo furbo, intrigante, costruttore e gestore di se stesso, viene sorpreso di notte dal Dio vivente: lo deve affrontare finalmente da solo e arrendersi a lui che lo attende per benedirlo. “Da adulto lottò con l’angelo e vinse e pianse e domandò grazia” Os 12,4b-5ab. La lotta con l’angelo è in realtà la lotta con Dio 32,29.31. Una lotta che è insieme un “anonimo” corpo a corpo mortale – “Come ti chiami?” “Dimmi il tuo nome” – e un amplesso amoroso dove i gemiti feroci dei colpi sordi inferti e ricevuti suonano come preghiere – “Lasciami andare!” “Non ti lascerò se non mi avrai benedetto!” – una lotta da cui si esce segnati per sempre nel corpo e nell’anima , con un’identità nuova, un nuovo “nome”. “Israele” una parola in cui “regna la forza vincente di Dio”.

La conversione alla fede è cosa per adulti, i quali sappiano nello stesso tempo lottare da soli nella notte oscura fino allo spuntare dell’aurora, e piangere e vincere e domandare grazia, arrestarsi e far cadere ogni arroganza dinnanzi all’insondabile mistero del nome e, al contrario, lasciarsi umilmente cambiare i connotati da lui. Questo cambiamento di nome non è solo un riconoscimento di sudditanza 2Re 24,17 ma pure la scoperta di una nuova, propria identità misteriosa – quella vera – che l’Altro ci rivela Gn…Mt…Lc…Gv…. Davanti a Dio, l’uomo – l’intrigante ricercatore, curioso e abile, che indaga, ipotizza, prova; il “mago” che carpisce i segreti della natura, sperimenta, nomina e domina il mondo – deve arrendersi e farsi “nominare” e dominare amorosamente.

In diversi testi biblici si possono riconoscere allusioni e riferimenti a questa pagina genesiaca. Si veda tra molti altri il rapporto drammatico di Mosè con YHWH Es3,1-20….: il salmo gridato da Gesù sulla croce, nel buio dell’eclissi Sal 22; Mt 27,45-46…: la disputa di YHWH con Gerusalemme Is 40,27-31; 49,14-15, la vicenda del “servo di YHWH” Is 50,44…; la contesa di Geremia con il Signore Ger 15,10-21; 20,7-18; quella estenuante di Giobbe; quella di Simon Pietro Gv 13,36-38; o di Tommaso con Gesù 20,24…l’angosciosa ricerca dell’amato da parte della sposa Ct 3,1-4; 5,2-8; e del Maestro da parte di Maria di Magdala Gv 20,1-2. 11-18; l’agonia di Gesù nell’orto Lc 22,39-46 con la rilettura di Ebr 2,17-18; 5,2-5

La vicenda di Giacobbe-Israele ha degli elementi in comune con quella di Agar, in fuga da Sarai, sola e incinta, nel deserto del Neghev, presso una sorgente sulla strada di Sur 16,1-16. Anche qui l’angelo del Signore è lo stesso Signore v.13 manca verbo? alla fiera e impertinente schiava Agar egiziana vv 4-6a di “convertirsi ritornando dalla sua padrona e mettendosi umilmente sotto la sua mano” v 9. Agar esclama qui: ”Tu sei il Dio che mi vede (El roi= “Dio della mia visione”) .Il Signore che aveva ascoltato la sua afflizione e che le prometteva un figlio che ella avrebbe chiamato “Ismaele”=Dio ascolta v.11: le si rivela pure come colui sul quale ella si interroga: ”Qui ho visto dopo che mi ha vista? V.13b. Tanto che il pozzo presso il quale l’angelo del Signore l’aveva trovata si chiamò Pozzo di Lachai -Roi=pozzo del vivente che mi vede. Agar è colei a cui Dio apre gli occhi per vedere non solo acqua nel deserto, ma Dio sulla terra Gn 21,19. Anche Natanaele verrà finalmente a vedere colui che lo aveva già visto, quando era sotto il fico, prima che Filippo lo chiamasse Gv 1,45-51, dove i verbi vedere ricorrono continuamente.

Giungere a vedere colui che sempre ci vede, “renderci presenti a colui che, fin dal principio, ci è dovunque presente (Sal139) è la formulazione altissima di tutto l’itinerario del pellegrinaggio spirituale di assunzione dell’uomo fino a Dio. Il salmo 84 designerà come termine del cammino del fedele pellegrino il “comparire davanti a Dio” in Sion v.8. L’itinerario biblico dell’uomo è un essere assunto dall’esperienza di Dio quale “Dio dell’ascolto” = fede a quella del “Dio della visione” Gv 14,8-9; 1 Cor 13,9-12.

E’ bello che già nella Genesi un simile orizzonte si apra davanti agli occhi di Agar, la schiava egiziana di Abramo. Si annuncia in lei misticamente la Chiesa della nazione?