I Salmi e il Cantico

A. Neher

Con i salmi e il Cantico la B. apre il portico d’ingresso alle 2 forze + misteriose di cui il Creatore abbia dotato l’uomo: la forza della Preghiera e quella dell’Amore.

Senza dubbio l’uomo potrebbe intuire, pur restando nell’ambito della sua immanenza, che la distanza tra Dio e la terra viene a essere abolita nella Preghiera e che la distanza fra l’uomo e il suo prossimo viene a essere abolita nell’Amore. Ma l’irruzione trascendente dei salmi e del Cantico ha afferrato l’uomo fin nelle radici letteralmente vocali della sua vocazione: della Preghiera e dell’Amore essi hanno fatto un canto. D’ora in poi, l’abisso tra il Silenzio e la Parola è vittoriosamente varcato. Tra l’intuizione folgorante di ciò vi è di ineffabile in ogni preghiera e in ogni amore, e la nostalgia invincibile di voler dire, anzi gridare ciò che essi rappresentano per ognuno di noi, viene gettato un ponte: i canti dei Salmi e del Cantico costituiscono gli eterni punti di ritrovo del + profondo dei misteri e della sua luminosa rivelazione.

Ma, + intensamente degli altri libri biblici di cui il popolo ebraico è allo stesso tempo e titolo autore ispirato, non ha esso trasmesso – offerta generosa e senza precedenti nella storia dello Spirito – i Salmi e il Cantico all’intera umanità? E il popolo ebraico non spezza forse e non beve oggi con tutti gli uomini, in una Cena dove non si distinguono + né Greci, né Giudei, né Barbari, il pane della preghiera e il vino dell’amore? Che cosa allora gli Ebrei hanno tenuto per sé, nei Salmi e nel Cantico, senza trasmetterlo, senza perderlo, con la stessa irriducibile freschezza del primo giorno?

Due cose, in virtù delle quali l’Ebreo è veramente Ebreo, non meno di quanto lo sia in virtù della Torà di Mosè, che similmente, nella sua eterna giovinezza appartiene solo a lui: il tempo dei salmi e del Cantico e il loro spazio.

Sì, i Salmi e il Cantico, per un Ebreo, non sono alimenti spirituali occasionali: essi sono la fibra permanente del suo tempo. I loro versetti scandiscono l’intervallo che conduce dall’alba alla notte e dalla mezzanotte all’aurora; dal primo istante dell’attività lavorativa settimanale al sopraggiungere dello Shabbat; da un anno al seguente, dalla culla alla tomba, dalla vita all’eternità. Ogni venerdì sera, per accogliere lo Shabbat, viene cantato appunto il testo completo del Cantico e i suoi versetti costellano parimenti la liturgia della Pasqua. Da un mese all’altro viene recitato appunto il testo integrale dei Salmi e i loro versetti accompagnano come un contrappunto i momenti più svariati della vita umana nelle sue manifestazioni sacre, ma anche nelle umili mansioni quotidiane. Si interroghi l’Ebreo sul suo essere: risponderà con un salmo perché l’identità personale si esprime, per ogni Ebreo, in un versetto dei Salmi. Lo si interroghi sul suo divenire, risponderà con il Cantico, perché l’impresa comune di Dio e di Israele attraverso la storia si è cristallizzata, per l’Ebreo, nell’avventura dell’amore del Cantico.

Entrambi, Salterio e Cantico, con il loro Verbo monumentale i cui sentieri sono tutti noti all’Ebreo come un tracciato familiare, sono le tappe in cui l’Ebreo si sente a casa sua. Egli vi riconosce l’ossatura della sua esistenza individuale, dalla gioia suprema al lutto profondo, vi scopre la sostanza della sua storia collettiva, dalla Rovina e l’Esilio alla redenzione messianica.

Al tempo dei Salmi e del Cantico viene infatti ad aggiungersi per l’Ebreo, il loro spazio. La terra di Israele e Gerusalemme in cui i Salmi e il Cantico sono nati ed i cui paesaggi, uomini, cose, profumi costituiscono le cellule organizzatrici, per l’Ebreo non sono dei simboli né delle metafore né delle vestigia né delle utopie. Si tratta invece della Terra che mai ha abbandonato e della Gerusalemme che mai ha dimenticato, pur nel + lontano esilio, appunto perché i Salmi e il Cantico, scandendo il suo tempo, lo ricollegavano, lo tenevano vicino, lo riportavano alle loro valli, ai loro monti alle loro mura. Di conseguenza, ritornatovi ora, in pieno XX sec., l’Ebreo non avverte dissidio alcuno tra il passato e il presente, tra la Terra e il cielo, tra David e se stesso. Semplicemente i Salmi e il Cantico l’hanno preso per mano, come già facevano da millenni e gli hanno detto: “Oggi, vedi, il nostro spazio coincide con il tuo tempo. L’ora tua a Gerusalemme non è + sognata, né promessa, né attesa – finalmente come già per David e la Sulamit, è vissuta a pieno”.

Se è vero che per l’Ebreo tornato a Gerus. Scompare la distanza fra tempo e spazio, l’abolizione del muro che dilaniava in 2 parti Gerus. Non rappresenta forse, per tutti gli uomini il segno della scomparsa della distanza tra Dio e la terra e della distanza tra l’uomo e il prossimo? La riunificazione di Gerus. non è forse un invito quotidiano alla preghiera e all’amore, un salterio e un cantico diventati anch’essi realtà vivente destinata a portarne a maturazione i frutti di speranza su quella terra in cui affondano le loro radici immortali?