La prova suprema di fede – 5 novembre 1998

5.11.98 2.1.2

La prova suprema di fede

In Gn 22 leggiamo il racconto culminante della storia di Abramo, quello che la tradizione ebraica chiama Agadah = la “legatura” di Isacco in vista del suo sacrificio, apparentemente richiesto dal Signore sul monte Moria.

La prima cosa che una lectio divina coglie in questo testo non è l’eziologia di un luogo di culto e ancora meno la condanna dei sacrifici umani, che solo più tardi i profeti, e anche la Torah, condanneranno nel costume diffuso del tempo. Come subito dirà, non si deve confondere la fede con la morale. La parola di Dio, lungi dall’insinuare un giudizio morale negativo, qui sommamente esalta l’obbedienza del padre, il quale “in buona e perfetta fede” lungamente maturata per tre giorni di cammino, è prontissimo (Eccomi: vv.1,11) a offrire in olocausto il figlio, l’unico e amato (v. 2 vv. 11.16) Il “timore di Dio” v.12 è qui il nome della fede obbediente di Abramo v.18. Dio va creduto e obbedito sopra tutto Ne 9.8. Non si tratta di moralità, che consiste nel seguire sinceramente e coerentemente con se stessi la voce immanente della propria coscienza che ci addita certi valori. Qui è in gioco la dimensione dialogico-teologale della coscienza dell’uomo che si sente chiamato dalla voce dell’altro del Dio -Amico-Abramo Abramo 1,11.13 alla fedeltà nonostante tutto e prima ancora di aver potuto elaborare tutto un discorso logico per giustificare intrinsecamente e soddisfacentemente la propria obbedienza. Così, più tardi, anche Simone dirà a Gesù: “Maestro abbiamo faticato…(.e noi conosciamo bene il lago…): ma sulla tua parola… Lc 5,5

E’ questa la frontiera della fede, per cui l’uomo si trascende entrando nella verità della relazione con io, obbedendo alla sua parola, più che alla propria testa. Il Dio della fede di Abramo fa storia, ci fa fare storia facendoci uscire dal ciclo naturale e necessario delle cose, e introducendoci liberamente in una vicenda personale e contingente che riguarda lui.

Abramo, come già Noè, non replica nulla, non obietta nulla all’ordine di Dio. Egli va prontamente “di buon mattino” v.3 Cammina per tre giorni con il figlio, ancora vivo accanto a lui, ma già morto nel suo cuore di padre a causa della propria libera determinazione a obbedire alla parola del Signore. Allo stesso modo Gesù vivrà la sua morte anticipatamente durante la sua ultima cena pasquale e durante il suo combattimento interiore nell’orto Getzemani.

L’ordine divino di sacrificare Isacco non costituisce semplicemente una prova durissima per la tenerezza di Abramo verso il figlio. Questo figlio che bisogna adesso offrire è l’unico “figlio di Sara” rimasto, dopo che Ismaele è stato licenziato insieme a sua madre 21,14. Soprattutto Isacco è l’unico depositario delle promesse di Dio e della verità della voce prima di Abramo, della sua avventura e della sua sessa identità dopo la partenza da Carran Eb 11,17-18. Alla sorte di Isacco è indissolubilmente legata la coscienza che Abramo avrà dl rapporto col suo Signore, la fondatezza e l’avvenir della sua fede in lui. Dice molo bene Paolo Rm 4,18 “in spe contra spem”.

Secondo alcune letture ebraiche, Abramo sacrificò di fatto Isacco, che il Signore poi risuscitò cfr Eb 11,19…lo riebbe e fu come un simbolo (en parabolè).

La Bibbia greca LXX traduce “il figlio unico” con” amatissimo”” e il NT riprende più volte questa espressione per designare Gesù come il figlio unico e amato” di Dio Padre (cfr. testi Battesimo + Trasfigurazione) Ciò mostra che la comunità ebraica dei primi secoli di Gesù ha riconosciuto in lui “l’ultimo Isacco”, la “discendenza per eccellenza e definitiva di Abramo” Mt 1,1.17; Lc1,55.73….. un’immagine dello stesso Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo”. Al punto che coloro che sono “figli di Dio in Cristo Gesù” sono anche “discendenza di Abramo” Gal 3,7. 26-29

Lo scarto tra fede e morale di Abramo.

Se progressiva è l’accoglienza del dono della fede da parte di Abramo, ancora più lenta e progressiva è, nella storia dei patriarchi d’ Israele, l’acquisizione di costumi morali che dalla fede scaturiscano, penetrino e discernano la loro esperienza antropologico-culturale, e presiedano all’esercizio attuale delle loro virtù. L’etica dei patriarchi appare molto inadeguata alla loro vocazione divina. A parte la peccaminosità, dalla quale non sono mai dispensati, il passo dell’evoluzione della loro coscienza morale è lento e incerto come sempre avviene nelle cose umane: l’interpretazione di sé e del mondo con cui essi formulano delle regole per l’agire proprio e degli altri, è faticosa e stenta a liberarsi della propria soggettività egoistica: la diffusione liberante del rapporto “Io-Tu” proprio della fede in tutto l’agire umano incontra debolezze, ostacoli, impermeabilità tra i condizionamenti storico-culturali delle situazioni storiche dei loro ambienti. La chiamata alla fede non fa diventare immediatamente santi dal punto di vista morale (cfr pure la moralità delle figlie di Lot in Gn 19,30-38; o di Tamar, nuora di Giuda Gn38.

Così il comportamento di Abramo nei confronti della moglie Sarai in Egitto 12,10-20 e a Gerar 20,1-18: anche dopo che il Signore aveva cambiato i nomi 17,4-5.15-16, non è certo un modello da canonizzare. La stessa cosa avverrà nella storia di Isacco, ancora a Gerar 26,1-14. Oltre tutto questi rischi che, per salvare la propria pelle, i patriarchi fanno correre alle loro mogli -Sara e Rebecca le madri del popolo eletto sono sempre delle donne bellissime, nonostante l’età 12,11-16; 26,7- non sono solo rischi morali. Essi toccano pure la dimensione teologale mettono in pericolo la promessa divina concernete la discendenza, che deve essere discendenza di Abramo. Ecco perché in Signore dell’alleanza non ha permesso che i suoi “messia”=unto, consacrato, fossero toccati e che ai “suoi profeti” fosse fatto alcun male, nonostante il loro essere ancora al di sotto della loro chiamata Sal 105,12-15.

Il libro della Gn, nei suoi intenti molto più teologali che morali, riferisce i fatti senza spingersi a dare una valutazione dei comportamenti morali dei patriarchi, ma la presentazione che fa del faraone o di Abimelech, re di Gezar 20,2 e poi anacronisticamente re dei Filistei 26,1-8 è ben più nobile e lodevole di quella piuttosto meschina dei patriarchi di Israele.

Solo alla “IV generazione”, con Giuseppe – e finalmente solo in Gesù, del quale Giuseppe è tipo profetico-, la fede crea nelle coscienze dei discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe, un insieme coerente di comportamento morale. Allora la storia dei patriarchi Ebrei, resi santi dall’elezione divina, registrerà tra di loro un comportamento morale adeguatamente santo.

Per quanto concerne il Signore, Israele è una nazione santa, un popolo Santo fin dall’alba della sua chiamata Es 19,6; Dt 7,6.. Questo vocabolario, per cui la santità teologale (proveniente dall’operazione di Dio) precede e prevale su ogni santità umana (morale proveniente dall’operare umano) durerà in tutto il NT Rom 1,7; 15,25-26.31. L’avventura di Dio con l’uomo incomincia da Dio, e da Dio solo. La via della fede incomincia con la fede, non con la morale, e nemmeno con la religione, come si vedrà in Giacobbe.

La relazione con l’altro e quella con la terra nella storia di Abramo.

Si è visto che sia nell’economia della creazione sia in quella del peccato le 3 dimensioni fondamentali dell’uomo creato da Dio – relazione con Dio, con l’altro essere umano, con la terra – sono tra loro irriducibili, ma pure strettamente congiunte e interdipendenti. Questo rimane vero, ovviamente, pure nella ricostruzione redentrice dell’ uomo nella via della fede, e appare chiaramente già nella storia di Abramo.

Ambedue le relazioni con l’altro= l’umanità intera e con la terra, sono previste fin dal principio nelle promesse fatte dal Signore ad Abramo: quella di una discendenza numerosa…e quella del possesso del paese di Canaan….

Relazione orizzontale= l’altro = l’umanità e perciò la fiducia + sicurezza derivante da una discendenza la Bibbia specifica “Abramo aveva 92 anni quando fece circoncidere… 17,24-25. Dunque, dopo più di 13 anni dalla promessa della discendenza 15,4-6;16,16 e quando Abramo e Sara erano più vecchi che mai 18,11-12 il figlio della promessa non era ancora nato.

Ciò nonostante, Abramo è presentato come uomo generoso, giusto e ripetutamente premuroso nei confronti del nipote Lot 13,1-12; 14,12-16.20-24; l’amico di Dio che la fede rende solitario, è reso pure subito non isolato, ma generosamente efficacemente solidale con l’altro 12,5:… Con colui che è chiamato da Dio, dal Dio di tutti, c’è sempre un altro, che non è chiamato da Dio direttamente, ma per il quale il primo è pure chiamato. La fede crea nel credente un vincolo con il Signore talmente singolare che lo libera per la più vera comunione con gli uomini. Così Abramo non è solo sollecito di Lot, suo parente, ma di tutta la città di Sodoma, per la cui salvezza ingaggia una contesa memorabile con il suo Signore 18,16-38. Così Israele è chiamato per le nazioni, Gesù è eletto per noi Gv 1,34 sec. Manoscritti, la Chiesa per il mondo.

Quanto alla relazione con la terra, ricordiamo in Eb 11,13 che non solo Abramo, ma anche Isacco e Giacobbe, con i suoi dodici figli, morirono tutti nella fede…conseguire i beni promessi, senza però averli ancora conseguiti “ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra”.

Questa lezione sull’ordine esistente tra le 3 dimensioni strutturali della creazione è molto istruttiva sia per le persone, sia per le comunità. Le tre dimensioni sono inseparabili, ma non necessariamente contemporanee e coordinate tra loro. La fede in Dio è richiesta immediatamente e in misura integrale. La relazione di comunione e carità richiede un tempo e una maturazione più lunga ed è condizionata e diversificata da svariate circostanze. La speranza concerne il possesso della terra e dei beni promessi – e quindi lo sviluppo pieno del nostro corpo nella creazione finalmente integrata e liberata– può attendere ancora di più pur senza venir mai meno Rm 8,19-25. Si potrebbe concludere che la storia di Abramo, specie per quanto riguarda la promessa della Terra che il Signore gli destina in dono, già suppone e si protende verso l’escatologia NT.